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dimanche, 14 juillet 2013

Eu-Rus. Il protagonismo dei popoli europei e una nuova sinergia con la Russia

Eu-Rus. Il protagonismo dei popoli europei e una nuova sinergia con la Russia

da Alfonso Piscitelli
Ex: http://www.barbadillo.it
 

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Aymeric Chauprade è uno degli autori di geopolitica più importanti della nuova generazione. Animatore della Revue française de géopolitique  è anche presidente della Accademia Internazionale di Geopolitica. Chauprade afferma le ragioni del multipolarismo: sostiene che per riequilibrare il sistema di rapporti internazionale sia necessario un nuovo protagonismo dei popoli europei, che solo può avvenire in virtù di  una forte intesa con la Russia.

La Russia appunto. La vecchia rappresentazione secondo la quale Mosca esprimeva un potere “asiatico” ed ostile, separato dal nostro vivere occidentale da un limes invalicabile (la cortina di ferro) appare vecchia. Una rappresentazione ossidata e tossica. Archiviata per sempre l’ideologia marxista, la Russia torna ad essere nazione europea, per paesaggio, etnia, lingua, cultura e religione. Ed è naturale che gli spiriti più intuitivi del nostro tempo si prodighino per sostenere la vera, autentica  “integrazione” per la quale valga la pena di battersi. L’integrazione tra Est e Ovest dell’Europa; il respiro simultaneo dei “due polmoni dell’Europa”, come li definiva con parola ispirata  Giovanni Paolo II.

Il 13 giugno Chauprade  ha rivolto un’allocuzione ai deputati della Duma russa. “Signore e signori della Federazione Russa – ha esordito l’autore – è un grande onore essere qui per un patriota francese che come me guarda al popolo russo come a un alleato storico”. Poi Chauprade ha proseguito  con affermazioni forti di stampo sovranista: “Il nuovo bipolarismo mette di fronte, in un confronto che si amplificherà, da un lato questo totalitarismo globale, che ha distrutto la famiglia e la nazione, riducendo la persona ad un consumatore schiavo di pulsioni mercantili e sessuali e dall’altro i popoli traditi dalle loro elite, assopiti davanti alla perdita di sovranità e all’immigrazione di massa, ma che di fronte all’attacco contro la famiglia iniziano a risvegliarsi”.

Nel clou dell’intervento l’elogio di Vladimir Putin:  “Signore e signori deputati, è con il presidente Putin e tutte le forze vive della Russia, che il vostro paese ha intrapreso una ripresa senza precedenti, militare, geopolitica, economica, energetica e spirituale che ispira ammirazione nei patrioti francesi! I patrioti del mondo intero, gelosi dell’indipendenza dei popoli e delle fondamenta della nostra civiltà, in questo momento hanno gli occhi puntati verso Mosca”.

L’idea che la Russia di Putin rappresenti oggi “il polo” per coloro che si riconoscono nel retaggio e nel futuro della civiltà europea è una impressione condivisa.

Chi scrive, nel suo piccolo, ha concepito l’idea di un progetto denominato Eu-Rus e ne ha cominciato a parlare, alla maniera dei ragazzini … su facebook[1].

La “Eu” di Eu-Rus contiene le stesse lettere  della sigla UE (Unione Europea) sia pur in un ordine diverso ed  evoca anche la radice greca “eu” che nella lingua di coloro che per primi pensarono l’Eu-r-opa[2] significa bene (come nelle parole composte “eudemonia”, “euritmia”, “euforia”, “eucaristia” e – si spera di no –  “eutanasia”).

L’intenzione è quella  di realizzare con gli amici che sono interessati un network di intellettuali motivati dall’ideale della integrazione Europa – Russia.

Gli spunti di riflessione e di impegno sono tanti:

1. Affermare l’esigenza di una comunità energetica  comune, attraverso la realizzazione dei gasdotti North Stream e South Stream.

2. Battersi affinché  in tutto il continente si affermi il  programma portato avanti da Putin  di socializzazione delle  fonti energetiche. Socializzazione versus privatizzazione selvaggia.

3. Auspicare il sorgere  di un area di libero scambio comune tra Europa e Russia,  di integrazione delle  risorse tecnologiche e imprenditoriali. I grandi corridoi orizzontali che in questi anni si stanno costruendo devono essere prolungati fino a Mosca  e devono diventare  strade  a doppia corsia: sulla corsia che va verso Occidente scorrono le  risorse energetiche e del sottosuolo, sulla corsia che va verso Oriente scorre il Know How che l’Europa Occidentale oggi può mettere a disposizione.

4. Riaffermare i principi della rivoluzione nazional-democratica gaullista: capi di  governo eletti direttamente dal popolo, come oggi avviene in Francia e in Russia; con un radicale ridimensionamento di tutti i poteri non-eletti  (commissari UE, governi tecnici, ONG …)

5. Rilanciare la  politica di coesistenza pacifica con i paesi arabo-islamici secondo la linea perseguita sia pur tra difficoltà e/o incertezza dall’Italia con Mattei, Moro, Craxi, Andreotti.

6. Sviluppare anche l’idea di una graduale  integrazione militare delle nazioni europee, una integrazione che coinvolga tutte e due le potenze dotate di arsenale nucleare del continente: la Francia e la Russia.

7. Sostenere un ideale di multipolarismo basato sul principio del Balance of Power per evitare le derive belliciste che inevitabilmente derivano dal predominio mondiale di una “Unica Superpotenza”.

8. Affermare una politica sull’emigrazione corrispondente alle esigenze dei lavoratori e dei disoccupati europei, una politica che non segua gli interessi di coloro che mirano ad abbassare il costo del lavoro con l’immissione continua di nuovi soggetti nel sistema economico, ma che segua le indicazioni del formidabile discorso alla Duma di Vladimir Putin del 4 febbraio 2013.

9. Auspicare l’adozione di una politica per la famiglia corrispondente alle esigenze demografiche dell’Europa.

10. Approfondire il dialogo culturale meditando sulle esperienze spirituali  dei grandi pensatori russi: Soloviev, Bulgakov, Dostoevskij, Florensky.

11. Per la stessa ragione contribuire al dialogo ecumenico tra chiesa cattolica romana e chiese ortodosse d’Oriente.

12. Rimeditare  in chiave post-moderna il tema della III Roma.

Due sono gli errori da non commettere nello svolgimento di questa impostazione:

1. sviluppare i temi con un taglio “estremista”. La geopolitica autentica confina con la diplomazia e non con l’ideologia. La calma, la moderazione, l’equilibrio sono una sostanza migliore rispetto ai fumi dell’ideologia.

2. sviluppare il progetto con una foga polemica contro altri soggetti internazionali. Qui non si vuole essere  anti islamici o antioccidentali o anticinesi. Si vuole semplicemente essere nietzschianamente  “buoni europei” e dunque elaborare il tema della fratellanza naturale e storica tra i popoli che sono figli della Grande Madre Europa.

Siamo felici che questo progetto possa partire a bordo della nave pirata di Barbadillo. Ne parleremo nelle prossime settimane con gli amici che condividono, nella piena libertà delle loro equazioni personali, le idee di fondo del progetto.



[2] Europa era la splendida fanciulla orientale amata da Zeus (nella radice etimologia,Eu-Op, il riferimento ai grandi occhi splendenti). Il grande dio del cielo per sedurla si trasformò in Toro e condusse la fanciulla dalla sponda orientale a quella occidentale del Mediterraneo, nella terra che avrebbe preso da lei il nome

@barbadilloit

A cura di Alfonso Piscitelli

jeudi, 04 juillet 2013

Croatie dans l'UE: "Je crains que l'Europe ne devienne une nouvelle Yougoslavie"

 

Croatie dans l'UE: "Je crains que l'Europe ne devienne une nouvelle Yougoslavie"

Pour l'essayiste croate Tomislav Sunic, qui regrette l'adhésion de son pays, l'Union européenne a sacrifié la politique sur l'autel de l'économie.

Tomislav Sunic rappelle que seule une petite minorité de Croates a ratifié l'entrée du pays dans l'Union européenne, en 2012.

Tomislav Sunic rappelle que seule une petite minorité de Croates a ratifié l'entrée du pays dans l'Union européenne, en 2012.© DIMITAR DILKOFF / AFP
 
Propos recueillis par Jason Wiels

C'est une voix discordante dans le concert de célébrations organisées en Croatie pour l'entrée du pays au sein de l'Union européenne, officialisée ce 1er juillet 2013. Tomislav Sunic, croate et américain, ancien diplomate et professeur en sciences politiques, désormais intellectuel à plein temps, a grandi dans la détestation du communisme version Tito. En janvier 2012, il a voté contre l'entrée de son pays dans l'Union européenne. Lui qui a appris le français en lisant "les lettres de Daudet" et "la plume d'Aron" dit naviguer librement entre la pensée économique de gauche et une approche de la culture de droite. Conflit serbo-croate, situation économique difficile, corruption..., l'auteur de La Croatie : un pays par défaut ? (2010, éd. Avatar) se montre plus que pessimiste quand on lui demande si cette adhésion peut aider à régler les problèmes de son pays. Entretien.

Le Point.fr : Quel regard portez-vous sur l'entrée de la Croatie dans l'UE ?

Tomislav Sunic : Pour l'heure, je pense que l'Union européenne, telle qu'on peut l'observer, relève plus d'un "constructivisme académique" que d'une réalité politique qui refléterait la volonté de ses peuples. C'est le problème essentiel. En fait, le projet européen tel qu'il est, je le crains, me rappelle beaucoup l'ancienne République de Yougoslavie.

Si c'est le cas, on peut s'attendre à un avenir qui déchante...

Bien sûr, la désintégration yougoslave ayant abouti à des guerres inutiles et désastreuses. Conçu sur papier à la fin de la Première Guerre mondiale, le projet yougoslave semblait tout à fait valable, sauf que plusieurs mythologies nationalistes (slovène, serbe, croate, etc.) allaient finalement conduire à son éclatement sauvage. Au niveau européen, il me semble que l'on procède là aussi à des élargissements sans vraiment sonder le terrain.

Que voulez-vous dire?

Je ne suis pas le seul à penser que le projet européen est mal défini. Depuis le Traité de Rome en 1957 jusqu'à aujourd'hui, il se dirige d'abord vers "l'économisme", soit un capitalisme sauvage, et favorise la création d'une oligarchie mondialiste... Fatalement, cela va rejaillir sur le sort des peuples. Regardez par exemple le Mécanisme de stabilité européen, qui donne une immunité quasi totale à des décideurs non élus. Ils échappent au triage démocratique !

Que la Commission et la Banque centrale européenne rédigent nos lois, dans la grammaire comme dans la substance, voilà un projet qui me paraît particulièrement anti-démocratique. C'est ce qui me fait prédire que l'on se dirige malheureusement plus vers une rupture que vers une consolidation européenne. Bruxelles parle un langage économique, mécanique, super-capitaliste, qui nous fait mal, qu'on soit croate, français, de gauche ou de droite.

L'adhésion de la Croatie a pourtant été entérinée par un vote démocratique [66,67 % des votants ont dit oui, NDLR].

Certes, mais ce référendum a souffert de 60 % d'abstention [56,46 % exactement, NDLR]. Ce n'est donc qu'une petite couche de la population qui a voté oui. Si l'on compare à 1991, 85 % de Croates s'étaient déclarés pour la sécession d'avec la Serbie. Voilà un plébiscite qui était non seulement légal mais doté d'une légitimité à part entière. Dans le cas du référendum pour l'UE, on a fait chuter à dessein le palier de votes pour rendre le référendum valide...

De plus, il faut savoir que l'immense majorité de la classe politique croate est composée des nostalgiques de la Yougoslavie de Tito, que ce soit le président, Ivo Josipovic, ou même le Premier ministre, Zoran Milanovic (centre gauche, élu en 2011), issu d'une célèbre famille communiste. Des gens qui, paradoxalement, sont devenus les principaux supporters de l'"intégration" ! Ils pensent que tous nos problèmes vont être résolus à Bruxelles, par une pluie d'argent. Je caricature, mais c'est l'esprit.

Justement, l'économie croate compte 20 % de chômeurs, 50 % chez les jeunes. L'Europe a promis une enveloppe de 14 milliards d'euros au pays. N'est-ce pas là un signe positif ?

Tout à fait, nous sortons de quatre années sans croissance, même si notre dette souveraine reste bien inférieure à celle de la France par exemple [59 % du PIB contre 91,7 %, NDLR]. N'oublions pas aussi que toutes les familles ont leur expatrié (en Europe, en Amérique du Sud, etc.), ce qui permet de s'entraider. On a une vraie culture de la débrouille, aussi. Je ne pense pas que notre situation soit catastrophique.

En revanche, je pense que ce sont les grands apparatchiks de l'UE, tel M. Barroso, qui ont besoin de la Croatie plutôt que le contraire. Pour se donner bonne conscience, pour dire : "Regardez comment on continue d'intégrer." Et de faire un peu oublier au passage les cas grecs et portugais, qui ont pourtant été, à l'époque, les premiers bénéficiaires des aides européennes...

La Croatie est classée 62e sur l'indice de perception de la corruption par l'ONG Transparency International. Que faire pour lutter contre ?

C'est un de nos grands problèmes, c'est certain. Nous n'avons pas eu, comme vous en France en 1945, une "épuration" en 1945 après la fin de la guerre. Nous aurions dû nous débarrasser des membres de la police secrète, nous n'avons pas assez fait table rase de la période communiste.

L'entrée dans l'UE peut tout de même constituer une étape pour tourner la page du passé. Par exemple, en aidant à enterrer la hache de guerre avec Belgrade ?

N'oublions pas que, dans les années 90, quand beaucoup de Croates étaient pro-européens, Bruxelles ne s'était pas donné beaucoup de peine pour stopper les atrocités entre la Croatie et la Serbie.

Par ailleurs, je pense que cette adhésion ne résout en rien la question de la vérité historique, qui nous mine d'un côté comme de l'autre de la frontière. Je plaide pour une grande conférence qui réunirait des intellectuels de tous horizons pour qu'on règle une fois pour toutes la question de la "victimologie". C'est-à-dire qu'on se débarrasse de cette bataille de chiffres, dans laquelle on compte nos morts de part et d'autre sans souci des faits. Mes compatriotes construisent trop souvent leur identité de "bon Croate" en opposition avec le "mauvais Serbe". Il faut vraiment sortir de cette nécessité d'exister dans le dénigrement de l'autre...

Mais que ce soit à Bruxelles, Zagreb ou Belgrade, tout le monde est imprégné du même "économisme". Tout se résume aux mathématiques, aux chiffres. Il faudrait plutôt mettre en valeur nos idées spirituelles, intellectuelles, culturelles. Je suis pour une Europe culturelle, que l'on parle tous les langues des uns et des autres, plutôt qu'un mauvais anglais.

mardi, 02 juillet 2013

L’histoire d’amour entre l’Europe et la NSA

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L’histoire d’amour entre l’Europe et la NSA

Ex: http://www.dedefensa.org/

Wayne Madsen, qui fut analyste pour la NSA pendant douze ans (1985-1997) avant de passer au journalisme “dissident”, donne une longue interview au site PrivacySurgeon.org, le 29 juin 2013, où il dénonce l’hypocrisie de l’Europe dénonçant avec quelques colossaux effets de manche l’espionnage électronique de la NSA chez elle, alors qu’elle collabore plantureusement avec la NSA depuis des décennies. (A noter que ces observations diverses de Madsen, plus que des “révélations”, sont reprises par le Guardian du 29 juin 2013, type de connexion originale entre la presse-Système, – ou disons malgré tout-Système, – et un journaliste notablement et résolument “dissident”.)

Voici d’importants extraits de cette intervention. Encore une fois, il ne s’agit pas de “révélations” mais d’une collation de faits rendus publics mais en général assez peu bénéficiaires de la publicité qu’on donne d’habitude aux démonstrations foudroyantes d’un BHL ou d’un Fabius sur la nécessité de soutenir les rebelles syriens, et du choeur des vierges folles, politiques et salonardes françaises en faveur de liens étroits avec notre “grand ami”, la Grande République. Effectivement, il s’agit bien d’une “grande amie”, à laquelle on ne peut pad refuser grand’chose, en même temps qu’on en attend quelques miettes relevées de sel et de poivre concernant les grands dangers qui menacent notre civilisation décidément très entreprenante. Cet ensemble rassemblé de diverse informations déjà publiques permet d’ailleurs de comprendre combien cette structure de renseignement et de surveillance à la fois commune et antagoniste a facilité la formation de ce que nous nommons le bloc BAO et la mise en œuvre de la politique-Système que développe le bloc... (Les interventions à la première personne non attribuées à Wayne Madsen sont le fait de Simon Davies, animateur du site PrivacySurgeon.org.)

«[Wadsen is] particularly concerned about the “sanctimonious outcry” of political leaders who were “feigning shock” about recently disclosed spying operations such as PRISM while staying silent about their own role in global interception arrangements with the United States. “I can’t understand how Angela Merkel can keep a straight face – demanding assurances from Obama and the UK – while Germany has entered into those exact relationships.” “She’s acting like inspector Reynaud in Casablanca: ‘I’m shocked – shocked – to find gambling going on here...’” “I can’t understand how Angela Merkel can keep a straight face – demanding assurances from Obama and the UK – while Germany has entered into those exact relationships.”

»Unlike the UK – which has expressed a mixed response to its government’s involvement with US security – allegations of collusion with the NSA are likely to spark widespread anxiety and disbelief in Germany. However the writing was on the wall in the final report of a 2000 inquiry by the European Parliament that investigated global signals intelligence, recommendation 21 of which states: “Germany and the United Kingdom are called upon to make the authorisation of further communications interception operations by US intelligence services on their territory conditional on their compliance with the ECHR…”

»German political parties at the time of the EP inquiry had fiercely lobbied against claims that their country had colluded with the NSA, forcing a minority EP finding that bluntly stated: “The report by the Temporary Committee confirms the existence of the Echelon interception system which is administered by various countries, including the United Kingdom, a Member State of the European Union, with the cooperation of Germany.” The Finish communications minister has likewise denounced the NSA’s intelligence gathering, despite evidence that Finland routinely supplies signals intelligence data to the NSA through its own listening station outside Helsinki. Indeed across Europe political leaders have sought to reassure their citizens that the NSA’s activities are intolerable, while staying mute about their own involvement in those operations. [...]

»In view of the current practice of targeting the messenger instead of the message, I’ll get one matter out of the way before we go any further. Some of Madsen’s views have been – to put it mildly – controversial. His articles and books sometimes talk of clandestine arrangements at the highest levels of government. But those claims are old news – and are irrelevant to the question being addressed in this article. Madsen’s disclosures in the realm of SIGINT have however have been persistently correct – often expressed years before they were confirmed through official publication. Madsen warned of ECHELON long before that system was confirmed, just as he warned of widespread unchecked NSA activity years before the emergence of PRISM. He has also been at the forefront of disclosures about specific NSA pograms such as the media intelligence operation FIRSTFRUIT, which covertly monitors journalists. [...]

»Madsen named seven EU countries that have been substantially engaged in communications intelligence gathering alongside the US. These are Britain, Denmark, the Netherlands, France, Germany, Spain, and Italy. Those seven countries have formal second and third party status under the NSA’s signals intelligence agreements, and are contractually bound to the US.

»Under international intelligence agreements – most of which remain secret – nations are categorised according to their trust level. In the western world the US is defined as First Party while the UK, Canada, Australia and New Zealand are Second Party (trusted relationships). All others are third party (less trusted) or fourth party (secret) relationships. Madsen named seven EU countries that have been substantially engaged in communications intelligence gathering alongside the US. These are Britain, Denmark, the Netherlands, France, Germany, Spain, and Italy. Madsen warned that the public were being intentionally confused by the utterances of politicians. “Spain and Germany had the same deal as GCHQ and NSA at [the spy station] Bude, Cornwall with their Project TEMPORA, tapping the TAT14 cable between Denmark and Germany, Netherlands, France, UK and US.”

»He outlined the “significant extent” of signals intelligence operations in Europe, cautioning that the public needed to be made aware of the scale of these activities. “The Danes have an NSA listening post at Aflandshage, outside Copenhagen and the Finns provide 4th Party feed to NSA from the Santahamina facility outside Helsinki. The Swedish FRA also sends 4th Party SIGINT [signals intelligence] to NSA and has done so since the Cold War.”

»“Bundesnachrictendienst (BND) and Spanish CESID jointly operated an undersea cable tapping station at Conil called Operation Delikatesse. The station tapped the cables linking Spain to the Canaries, other Mediterranean nations, Africa, and BND turned over operation of the station to CESID in1992 but like all these arrangements, German intelligence personnel likely remained for support.” “NSA did the same with its Turkish SIGINT stations, turning over operation of Sinop on the Black Sea, for example, to Turkey’s MIT intelligence organization. The tapping facility, on ”Camino de los Militares” in Conil is near the Telefonica satellite ground station.”

»Some of this activity was mentioned during the 2000 EP inquiry, but the specific contractual relationships with the NSA were not made clear. The European Parliament’s inquiry was triggered by revelations that the NSA was conducting a global SIGINT operation known as ECHELON. Despite finding that the spying activity across Europe was vast and persistent, no further action was taken by the parliament. Governments have chosen to keep the public in the dark about it. They don’t understand that the days when they could get away with a conspiracy of silence are over. [...]

»Madsen also expressed anger over the NSA’s hypocrisy over Edward Snowden. “Snowden is being roundly condemned by many who say he had no authority or right to provide the public with details of NSA snooping. But what right or authority did NSA director, General Keith Alexander, have to provide information on NSA surveillance at five meetings of the global Bilderberg Conference – two in Virginia and one meeting each in Greece, Spain and Switzerland?” “Alexander claims he is protecting the American people from a constantly changing number of terrorist attacks. In fact, he is providing information to elites on the methods NSA uses to spy on labor, student, religious and progressive organizations.” “When Alexander leaks to the elites, he’s thanked. When Snowden does it, he’s called a traitor and a coward.”

 

dedefensa.org

Afluisterschandaal: 'VS opereert als Stasi en is morele geloofwaardigheid kwijtgeraakt'

Afluisterschandaal: 'VS opereert als Stasi en is morele geloofwaardigheid kwijtgeraakt'

Frankrijk stelt Amerika ultimatum: Stop onmiddellijk met spioneren

Ook bondskanselier Merkel afgeluisterd

Europese leiders eenvoudig af te persen


EU-politici spelen nu de vermoorde onschuld, maar zijn zelf ook al jaren hard op weg om een totale-controlemaatschappij op te richten.

Het NSA-afluisterschandaal neemt steeds grotere vormen aan nu blijkt dat de Amerikanen ook standaard hoge Europese officials en regeringsleiders afluisteren. De Franse president Francois Hollande heeft de VS een ultimatum gesteld om onmiddellijk te stoppen met spioneren. Het is onduidelijk wat hij zal doen als Washington weigert (1). De paniek van hooggeplaatste politici zoals Hollande, de Duitse bondskanselier Merkel en EU-parlement president Martin Schulz geldt niet zozeer het afluisteren van burgers, want het is genoegzaam bekend dat ons lot hun een zorg zal zijn. Nee, ze zijn bang dat de Amerikanen persoonlijke info over henzelf bezitten en hen daarmee zal chanteren.

Martin Schulz noemde de onthulling dat de Amerikanen standaard Europese leiders afluisteren 'een enorme smeerboel'. De Duitse minister van Justitie Sabine Leutheusser-Schnarrenberger voelt zich herinnerd aan de koude oorlog. CSU-politicus Markus Ferber vergelijkt de NSA met de voormalige Oost-Duitse geheime dienst Stasi en vindt dat Amerika zijn morele geloofwaardigheid is kwijtgeraakt nu zelfs de emails, telefoongesprekken en het internetverkeer van bondskanselier Angela Merkel blijken te zijn afgetapt.

Totale controle

De achterliggende reden is dat de machtselite totale controle over invloedrijke officials, politici en regeringsleiders wil hebben. Op het moment dat iemand zich tegen hen verzet wordt zo'n persoon onmiddellijk met pijnlijke persoonlijke informatie gechanteerd of simpelweg kapot gemaakt.

Voorbeelden zijn bijvoorbeeld de officier van Justitie in New York Eliot Spitzer en voormalig IMF-chef Dominque Strauss Kahn. Spitzer probeerde de criminele banksters op Wall Street te vervolgen vanwege hun biljoenenfraude. Toen werden er opeens opnames gepubliceerd waarop Spitzer een afspraak had met een escortdame in een hotel. Wég was zijn carrière, en daarmee ook zijn onderzoek naar Wall Street.

Strauss-Kahn was een seksverslaafde en eveneens een gokker, en daarmee een makkelijk doelwit. Toen hij kritiek begon te hebben over de manier waarop het financiële systeem functioneerde en gered werd, liet men hem verleiden door een kamermeisje. Amper een uur laten haalde de politie van New York hem uit het vliegtuig en was ook hij zijn baan en geloofwaardigheid kwijt.

Het systeem vertrouwt zichzelf niet meer

De Wall Street elite zet tegelijkertijd klokkenluiders zoals Edward Snowden in. Hiermee krijgen hoge officials en politici de dreigende boodschap dat alles wat ze achter de schermen zeggen en doen bekend is en tegen hen zal worden gebruikt als ze niet aan de leiband meelopen. Kortom: de elite luistert ook elkaar af, een duidelijk teken dat het oude systeem zichzelf niet meer vertrouwt en vecht om te overleven.

Iedereen af te persen

Dankzij email en het internet is iedere politicus en official af te persen. Iedereen heeft wel iets te verbergen, of dat nu een buitenechtelijke affaire is, verboden of bizarre seksuele voorkeuren, een gokverslaving, belastingontduiking, geheime bankrekeningen, zwarte betalingen, privégebruik van dienstauto's... Normale burgers die zich aan dit soort zaken bezondigen zijn niet interessant. Hooggeplaatste personen des te meer.

Nemen we bijvoorbeeld EU-Commissiepresident José Manuel Barroso, salonmarxist en iemand die nauwe banden onderhoudt met dubieuze Griekse zakenmensen zoals miljardair Spiro Latsis, op wiens jacht 'Alexandros' hij meerdere malen vakantie heeft gevierd. Wat is Barroso's rol bij het met honderden miljarden euro's 'redden' van de Grieken, waarmee feitelijk alleen de Griekse superrijken overeind werden gehouden?

Gepland lekken van informatie

De 'onthulling' van het NSA-afluisterschandaal zou daarom wel eens heel goed gepland kunnen zijn. Hiermee zeggen de Amerikanen tegen de Europese leiders: wij weten alles van jullie, en als wij dat nodig achten, dan 'lekken' wij gevoelige informatie naar de media, of dit nu een geheime vriendin, een seksverslaving of een bankrekening met weggesluisd geld betreft. En de Westerse media werkt hier graag aan mee, want die worden vrijwel totaal gecontroleerd.

Door de schuldencrisis zijn zowel de politici als de media zeer kwetsbaar geworden en zijn daardoor eenvoudig manipuleerbare speelballen in handen van de financiële machtselite. Het afluisteren van alles en iedereen door de geheime diensten is feitelijk niets nieuws, want in de alternatieve media kunt u al jaren lezen dat dit het geval is.

Politici in paniek omdat ze nu zelf het doelwit zijn

Wél nieuw is de paniek waarmee de politiek nu op het afsluiterschandaal reageert. Zolang het gewone burgers betrof knipperden 'onze' leiders zelfs niet met hun ogen, maar nu ze zelf het doelwit zijn en hun eigen reputaties en carrières op het spel staan, slaat hun onverschilligheid om in verontwaardiging, woede en angst. Angst, want wie zal door elite worden uitgekozen om de volgende zondebok te zijn voor het wankelende Westerse systeem?

Kleinste misstap wordt geregistreerd en gebruikt

Ook in Den Haag zullen politici en parlementariërs voortaan wel twee keer moeten nadenken voordat ze een email of sms'jes sturen met persoonlijke of gevoelige informatie. Men weet nu 100% zeker dat zelfs de kleinste misstap wordt geregistreerd en zal worden gebruikt om hen in het gareel te houden, desnoods door dit als een pistool tegen hun slapen te zetten. Waar zij eveneens de absolute garantie voor hebben is dat de trekker onverbiddelijk zal worden overgehaald zodra dit 'nodig' wordt geacht. (2)


Xander

(1) Zero Hedge
(2) Deutsche Wirtschafts Nachrichten

jeudi, 20 juin 2013

EL TRATADO DE LIBRE COMERCIO ESTADOS UNIDOS – UNIÓN EUROPEA OTRO PASO HACIA LA GLOBALIZACIÓN

 

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EL TRATADO DE LIBRE COMERCIO ESTADOS UNIDOS – UNIÓN EUROPEA OTRO PASO HACIA LA GLOBALIZACIÓN
 
 
Enrique Ravello
Ex: http://enricravello.blogspot.com/

Jean Baptiste Collbert, fue ministro  de fianzas de Luis XIV, el llamado “Rey Sol”, orador, inteligente, eficaz, gran parte del esplendor del reinado de Luis XIV se debió a su brillante  gestión. Collbert, impulsó una política económica llamada “colbertismo” o de forma más genérica, mercantilismo, su aplicación estuvo asociada al fortalecimiento de la monarquía absoluta y por lo tanto a la centralización del poder, y la capacidad e dirigir la economía del mismo.
El mercantilismo –aplicado también en otros estados europeos– se basa en un intervención dirigista del poder político en la actividad económica y el control de la moneda por parte del Estado, así como en la unificación del mercado interno, el aumento de la producción propia -controlando recursos naturales y mercados-,  la protección de la producción local ante la competencia extranjera, la imposición de aranceles a los productos extranjeros y el incremento de la oferta monetaria. Estas actuaciones tuvieron como finalidad última la formación de Estados lo más fuertes posible, lo que permitió un aumento de la riqueza, una mejora de la calidad de vida y el aumento de la población europea.
 
 
Proteccionismo frente a liberalismo
 
El mercantilismo como concepción tuvo su antítesis en el liberalismo, el hecho de que las potencias que defendía uno y otro modelo económico (Francia y Reino Unido) pugnasen por el dominio del comercio mundial, hizo de este enfrentamiento algo más que una cuestión ideológica. El liberalismo se fundamenta en el principio ideológico  de que  el individuo prima por encima del interés colectivo, la economía debe ser una vector independiente y alejado del control político, confiando de forma inconsciente en el “mercado” que mediante un “mecanismo invisible” (sic) autorregula sus diferencias y corrige las desigualdades sociales, de donde deriva su economicismo antipolítico. El mundo debe convertirse en un mercado mundial donde ni leyes ni estado, ni aranceles coarten su funcionamiento. No es de extrañar que los dos principales críticos del mercantilismo fueran los pensadores de referencia del liberalismo: Adam Smith y especialmente Ricardo.
La pugnas entra las dos concepciones se en el  XVIII y  XIX,  y la primera parte del siglo XX, en el que el liberalismo se fue imponiendo pero con fuertes resistencias en amplias zonas de Europa.
 
De la OMC al Tratado Interatlántico, la creación de un mercando mundial
 
Tras el final de la Segunda Guerra Mundial, se asiste a una liberalización continua del comercio mundial bajo el impulso de las grandes instituciones librecambistas y mundialistas como la Organización Mundial del Comercio (OMC), el Banco Mundial o el Fondo Monetario Internacional (FMI). 
 
En esos años el gobierno de los Estados Unidos propone a varios otros gobiernos la convocatoria de una Conferencia Internacional sobre el Comercio. En 1947 la ONU recoge esta iniciativa, eligiendo la ciudad de La Habana para celebrarla, en esa reunión establece el Acuerdo General de Arancel y Comercio (GATT), suscrito finalmente en Ginebra el 30 de octubre 1947 por 30 estados. Este GATT se basa en el principio del libre comercio internacional y en la progresiva supresión de aranceles y medidas proteccionista.  El GATT ha organizado sucesivas rondas en las que ha ido modelando su política neoliberal y aumentando el número de países firmantes. En la última ronda (Uruguay-Marrakesch 1986-1993) el número de estados firmantes llega a 120 y se constituye la Organización Mundial del Comercio (OMC) organismo que encargado de unificar las nomenclaturas arancelarias y de promover el librecambio a nivel mundial, los gobiernos de los estos miembros de OMC obedecen ciegamente las instrucciones de la OMC cuyo fin es la unificación del mercado mundial; hay que destacar que  Bruselas (UE) destaca en este nivel de sumisión al GATT, a pesar de ser Europa la zona más perjudica del mundo en la aplicación de  las directrices que emana de este organismo,  dejando a nuestras economías sin defensa ante el dumping social y económico de los productos llegados desde el tercer mundo.
 
Es en esta doble dinámica -creación de un mercado mundial y empobrecimiento de la economía europea- en el que se sitúa el nuevo Tratado de Libre Comercio entre la UE y EEUU, en cuyo texto se incluyen artículo que dicen cosas de este tipo:
 
Una estrecha asociación transatlántica es un instrumento clave para favorecer la mundializaicón basada en nuestros valores comunes y en la perspectiva  de un orden mundial equilibrado en materia económica y política.(Ya sabemos la idea de “equilibro” que tienen las élites mundialistas)
…reforzar el proceso de integración económica transatlántico… mediante la adopción de un marco en el que progresar en la integración económica entre la UE y los EEUU mediante la creación de un Consejo Económico Transatlántico (CET)
El acuerdo ya ha recibido la “luz verde” por parte de David Cameron y Angela Merkel tras la visita del secretario de Estado norteamericano, John Kerry en gira por Europa, que también le llevó a París donde fue recibido con fumata blanca por el sumiso François Hollande, que prometió también el apoyo de Francia al nuevo tratado.
 
El acuerdo, además de perpetuar la sumisión económica y política de la UE ante EEUU, pretende eliminar las restricciones europeas sobre la importación y comercialización de productos OMG, las desregularización en materia de protección de datos en favor de compañías como Google, Facebook o Amazoon, así como la derogación de la legislación en materia de medio ambiente y no contaminación.
 
En su sitio de internet el político y sociólogo Vicenç Navarro se sorprende la poca atención mediática que está teniendo la aprobación de esta tratado, que –como el también afirma– tendrá fatales consecuencias sobre la capacidad económica y calidad de vida de las clases populares de la UE. Navarro señala que –como siempre ocurre en este tipo de tratados– los únicos beneficiados serán las grandes empresas financieras y de servicios, cuyos lobbies presionan en Washington y Bruselas para acelerar la firma del proyecto. Además el Tratado prohibirá el monopolio de los servicios públicos, como en el terreno de la sanidad por ejemplo, lo que dejará abierta la puerta abierta al desmantelamiento de la Seguridad Social y la privatización total del sector.
 
Que la clase dirigente europea esté dispuesta a aceptar y firmar este Tratado que condena a la economía europea a la sumisión, provocará la pauperización de nuestra clases medias y populares, autorizará el desmoronamiento del sector público y permitirá atentados contra nuestra salud, es una prueba más de la necesidad de un cambio de paradigma político profundo y urgente en clava ecologista, social e identitaria.
 
Enric Ravello
Secretario de relaciones nacionales e internacionales de Plataforma per Catalunya.

mardi, 21 mai 2013

Allemagne: récession imminente?

Andrea PERRONE:

Allemagne: récession imminente?

 

Berlin amorce un déclin lent, à cause d’une croissance en net recul qui met en danger l’avenir de toute la zone-euro!

 

L’économie de toute la zone-euro poursuit son ressac et l’Allemagne, à son tour, devient sujet de préoccupation, car l’état de l’économie allemande empire. Ce n’est pas un hasard si l’économie allemande n’accuse qu’une très misérable croissance de 0,1% seulement au cours de ces trois derniers mois, tandis que la France, elle, a déjà basculé dans la récession, comme le signalent les données d’Eurostat. Avec un recul de 0,2% au cours des trois premiers mois de l’année 2013, l’économie de la zone-euro est bel et bien, désormais, en récession et cela, depuis un an et demi: c’est là la période de récession la plus longue depuis 1995, année à partir de laquelle Eurostat a commencé à rassembler des données. L’Etat de la zone-euro qui se trouve dans la pire des situations est bien entendu la Grèce, dont l’économie s’est réduite de 5,3%. Elle est suivie du Portugal, qui accuse une récession de –3,9% par rapport à la même période l’an passé.

 

La France aussi est officiellement en récession après que son économie se soit réduite de 0,2% au cours de ces six derniers mois, avec, en fond, un taux de chômage supérieur à 10%, assorti d’une perte de confiance des entreprises et des consommateurs. Entretemps, l’Allemagne a repris une croissance, après une récession de trois mois à la fin de l’année 2012, mais cette faible reprise s’avère bien trop lente et insuffisante, atteignant seulement le chiffre de 0,1%, surtout à cause d’une augmentation des dépenses de la part des consommateurs. Ce chiffre ne suffit pas, bien entendu, pour faire redémarrer l’économie de la zone-euro en général, qui se débat encore et toujours dans une crise qui perdure.

 

Les données d’Eurostat montrent que l’économie allemande s’est réduite de 0,3% par rapport à la même période l’an passé. Le bureau allemand des statistiques met ce faible rendement sur le compte d’un “climat hivernal extrême” qui a duré jusqu’en avril. A l’opposé, la Lettonie a enregistré une croissance de 5,6% et la Lituanie de 4,1% par rapport à la même période en 2012. Les deux pays espèrent adhérer à la zone-euro très bientôt: la Lettonie en janvier 2014 et la Lituanie en 2015. L’Estonie voisine, qui a adhéré à la zone-euro en 2011 a enregistré la croissance la plus élevée de la zone par rapport à l’an passé, avec +1,2%. Mais par rapport aux trois mois qui viennent de s’écouler, l’économie estonienne, à son tour, s’est réduite d’un pourcent.

 

Pour ce qui concerne Chypre, les chiffres montrent que l’économie de l’île a considérablement empiré pendant la période où l’on négociait son plan de sauvetage: son économie a chuté de 4,1% par rapport au trimestre de janvier-mars 2012. La situation économique de l’Italie, de l’Espagne, de la Finlande et des Pays-Bas est préoccupante car tous ces pays ont vu, eux aussi, se rétrécir leur assiette économique par rapport au trimestre précédent et à l’an passé, comme d’ailleurs toute les économies de la zone-euro. La Banque centrale européenne, au début mai 2013, a abaissé le taux de référence à son minimum historique de 0,5%, tentant ainsi de faire redémarrer l’économie de la zone-euro. Mais tout prêt avantageux demeure une chimère, surtout pour les banques des pays de l’Europe méridionale qui continuent à emprunter de l’argent à des taux d’intérêt beaucoup plus élevés que le taux de référence: même le président de la BCE, Mario Draghi, a souligné que les prêts à bon marché ne se sont jamais avéré bons pour l’économie réelle.

 

Andrea PERRONE.

(article paru dans “Rinascita”, Rome, 17 mai 2013 – http://www.rinascita.eu/ ).

jeudi, 09 mai 2013

Stealing Syria’s Oil: The EU Al-Qaeda Oil Consortium

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Stealing Syria’s Oil: The EU Al-Qaeda Oil Consortium

Global Research

The decision of the European Union to lift the embargo on Syrian government’s energy exports by importing oil from the ‘armed opposition’ is another flagrant violation of international law. It violates the UN General Assembly declaration of 1962 on Permanent Sovereignty over Natural Resources and is yet another violation of the 1981 UN declaration on the Inadmissibility of Intervention and Interference in the Internal Affairs of States. But it is much more than a technical violation of the law. It marks the decent of civilization into barbarism.

London and Paris, have more than Washington, been at the forefront of aggression against Syria. In spite of the fact that it has now been confirmed by most media sources that the Syrian ‘opposition’ is Al-Qaeda, London and Paris persist  in their insane drive to arm the terrorists, using the spurious argument that if they don’t arm the ‘moderates’ the ‘extremists’ will take over the country. However, in the words of the New York Times, ‘nowhere in rebel-controlled Syria is there a secular fighting force to speak of’. [1] The fact that the Syrian ‘rebels’ are in fact Al- Qaeda has even  been admitted by the war-mongering French daily  Le Monde.[2]

So, Paris and London are pushing for further arming of Al-Qaeda and the legalization of oil trading with the jihadi terrorists. In plain language this means that the loose, terrorist network known to the world as Al-Qaeda will soon become one of the EU’s partners in the oil business. A new absurd chapter in the Era of Terror is about to be enacted.

International law and its violators.

The 1962 UN Resolution 1803 on the Permanent Sovereignty Over Natural Resources states:

‘Violation of the rights of peoples and nations to sovereignty over their natural wealth and resources is contrary to the spirit and principles of the Charter of the United Nations and hinders the development of international co-operation and the maintenance of peace’[3]

Japhat Al-Nusra and other Al-Qaeda affiliated groups do not in any way represent the Syrian people, nor do they constitute a sovereign state according to the categories of international law.  The ‘armed opposition’ IS Al-Qaeda. Therefore, the European Union’s decision to officially buy oil from terrorist gangs currently occupying territories in the Syrian Arab Republic constitutes a heinous crime and makes a further mockery of the basic principles governing the relations between states.

The 1981 UN document explicitly condemns:

‘the increasing threat to international peace and security owing to frequent recourse to the threat or use of force, aggression ,intimidation, military intervention and occupation, escalation of military presence and all other forms of intervention or interference, direct or indirect, overt or covert, threatening the sovereignty and political independence of other States, with the aim of overthrowing their Governments’,

The declaration goes on to categorically condemn the deployment of ‘armed bands’ and ‘mercenaries’ by states for the use of overthrowing the governments of other sovereign states:

‘Conscious of the fact that such policies endanger the political independence of States, freedom of peoples and permanent sovereignty over their natural resources, adversely affecting thereby the maintenance of international peace and security,

Conscious also of the imperative need for any threat of aggression, any recruitment, any use of armed bands, in particular mercenaries, against sovereign States to be completely ended, so as to enable the peoples of all States to determine their own political, economic and social systems without external interference or control’ [4]

Western governments, who for many years have been openly and shamelessly violating all known and agreed principles of international law, arming terrorist gangs who murder and maim civilians, funding common criminals who traffic drugs and recruit child-soldiers, have now descended to a new low by purchasing oil and gas from these same terrorist gangs, natural resources which are legally the property of the Syrian Arab Republic and its citizens.

EU governments colluding with terrorists

Europe’s descent into absolute moral turpitude and lawlessness is further reflected in the fact that EU authorities are doing nothing to prevent brainwashed Muslim youths from traveling to Syria in order to fight NATO’s war. Yet, the officials of EU states readily admit that hundreds if not thousands of jihadis from Britain, Ireland, Spain, Germany, Belgium, the Netherlands and other states are now joining the ranks of the so-called ‘Syrian rebels’.  But they also admit that their only concern is that these terrorists might be a threat to European security if they ever return. The fact that these terrorists are putting bombs in busy market squares; cars; universities; schools; hospitals and mosques throughout Syria, and that US State Department’s own reports confirm this, doesn’t seem to bother the EU’s governments. Their only concern is that they might eventually bite the hand that feeds. [5] The EU ‘anti-terror’ chief Gilles de Kerchove tells the BBC:

“Not all of them are radical when they leave, but most likely many of them will be radicalized there, will be trained

“And as we’ve seen this might lead to a serious threat when they get back.”[6]

We know from Israeli intelligence sources that most of the terrorists are being trained in US/NATO military bases in Turkey and Jordon.[7]

So, why doesn’t the EU’s ‘anti-terror’ chief seem to know about this? This is the man responsible for protecting Europe from terrorism?  As I reported before, France’s ‘anti-terror’ magistrate actually admitted on French state radio in January 11th  that the French government was on the same side as Al-Qaeda in Syria:

“There are many young jihadists who have gone to the Turkish border in order to enter Syria to fight Bachar’s regime, but the only difference is that there France is not the enemy. Therefore we don’t look on that in the same way. To see young men who are at the moment fighting Bachar Al-Assad, they will be perhaps dangerous in the future but for the moment they are fighting Bachar Al-Assad and France is on their side; they will not attack us’’.[8]

The cynical double standard which states that all territories outside the EU are barbaric and therefore outside the realm of international law has now become a policy that goes unnoticed by Europe’s brainwashed masses.  Euro-Atlantic powers are not only behaving like criminals but are now openly displaying their criminality.  One should also note that the French government has now decided to call the Syrian president by his first name. Calling a state official by his first name is a sign of deep disrespect in French etiquette. Since the Sarkozy regime, French diplomacy has been dragged through the mud, with France’s diplomatic corps now behaving like a cross between spoilt brats and fascist thugs.

Syria’s Oil Geopolitics

The quest for sources of cheap energy is one of the geopolitical contexts driving the war in Syria. Christof Lehmann has written that the discovery of the Iranian Pars gas field in 2007 and Teheran’s plan to pipe the gas to the Eastern Mediterranean by constructing a pipeline through Iraq and Syria holds the potential of turning Iran into a global economic power, giving Teheran enormous leverage over the EU’s Middle East policy. This development would pose a threat to the Zionist entity. It would pose an existential threat to the despotic emirates of the Gulf, who depend on the power of the petro-dollar for their survival.[9]

That is one of the reasons why NATO and the Gulf Cooperation Council are using Al-Qaeda terrorists to break the Shite-led alliance of Iran, Iraq, Syria and Lebanon’s Hezbollah. As Italian geographer Manlio Dinucci has reported, contrary to received opinion, Syria actually has massive energy reserves.

Dinucci writes:

‘The U.S. / NATO strategy focuses on helping rebels to seize the oil fields with a twofold purpose: to deprive the Syrian state of revenue from exports, already strongly decreased as a result of the EU embargo, and to ensure that the largest deposits pass in the future, through the “rebels” under the control of the big Western oil companies. [10]

The first implementation of the ‘humanitarian intervention’ ideology was during the NATO bombing of Serbia in 1999. Since then, the truncated entity called Kosovo has become Europe’s number one criminal state, run by a convicted organ and drug trafficking mass murderer called Hacim Al Thaci, a protégé  of Brussels and Washington. This is the kind of narco-mafia anti-state NATO has installed in Libya since the Blitzkrieg against that country in 2011 and it is the type of criminal regime that will rule over Syrians if NATO succeeds in bombing that country.

One can read hundreds of articles in the mainstream press about the criminality of the Kosovar regime and articles describing the chaos in post-Gaddafi Libya have not been rare. But the same media outlets will systematically ignore the fact that they were the ones cheering on the CIA’s Kossovo Liberation Army during the destruction of Yugoslavia. The same prestitutes are now pushing for more arming of the terrorists in Syria and for military intervention by NATO.

The closing of the European mind

The pontificators of European integration and Europe’s role in the world like to pepper their speeches with pompous references to the ‘rule of law’ and the universality of ‘European values’.

This specious rhetoric is unceasingly drummed into European students throughout our universities and institutions of higher learning and it is repeated ad nauseum by the mass media. The people now using Al-Qaeda terrorism to further their interests in the Middle East teach courses in prestigious European universities on ‘international relations’.

It is no wonder ordinary people are incapable of seeing and understanding what is happening before their very eyes. The sheer scale and complexity of the global institutional networks built upon an empire of lies, self-righteousness and deceit is simply too overwhelming for the unschooled intellect to comprehend. Something in our order-seeking minds rejects reality when its horror surpasses our horizons of tolerance and intelligibility. As a result, the mind recoils, filters out the real, preferring instead to see in our masters the expression of complex, contradictory and arcane policies, whose moral content is consigned to the studies of ‘experts’ and ‘specialists’, who are themselves the products and propagandists of the same corrupt institutions.

There are now so many academic institutions, conferences; foundations; think tanks; policy institutes and university courses proclaiming the virtues of ‘humanitarian intervention’ that it has acquired the status of a dogma. The repetition and reproduction of this dogma by the scholastics of neo-liberal academia has turned that which critical reason would normally scoff at into an apriori principle of ‘global governance’.

In chapter 22 of his seminal work on international law De Juri Belli ac Pacis, (On the Law of War and Peace), the great 17th century Dutch jurist Hugo Grotius wrote:

‘Some wars were founded upon real motives and others only upon colorful pretexts. This distinction was first noticed by Polybius, who calls the pretexts, profaseis and the real causes, aitias. Thus Alexander made war upon Darius, under the pretense of avenging the former wrongs done by the Persians to the Greeks. But the real motive of that bold and enterprising hero was the easy acquisition of wealth and dominion, which the expeditions of Xenophon and Agesilaus had opened to his view.’ [13]

Little has changed since the days of Alexander the Great. Wars are still fought for pillage and plunder and the furtherance of empire. Polybius’s vocabulary of ‘profaseis’ and ‘aitias’ will be useful here. Since the start of the Syrian nightmare in 2011, the ‘profaseis’ propagated by corporate media agencies calling for military intervention in Syria has been the desire to ‘protect civilians’ from a ‘brutal regime’.  Only the naïve and ignorant could now defend such nonsense as the same media agencies have finally admitted that the ‘opposition’ is in fact Al-Qaeda, a fact the alternative media have been pointing out since the beginning of the violence in Deraa in March 2011.

NATO’s ‘aitias’ in this conflict is clear: break up and destroy an independent sovereign state; rob and pillage all of its resources; rape and terrorize its citizens into submission by unleashing drugged and brain-washed death squads on the population; constantly blame all of this on the ‘regime’, then finish the country off with an intensive aerial bombing campaign before installing a crime syndicate to run the country. Finally, call that holocaust freedom. Call that holocaust democracy. It’s a tried and trusted formula which is now being deployed all over the world in NATO’s megalomaniacal drive for global supremacy.

Grotius again:

‘Others make -use of pretexts, which though plausible at first sight, will not bear the examination and test of moral rectitude, and, when stripped of their disguise, such pretexts will be found fraught with injustice. In such hostilities, says Livy, it is not a trial of right, but some object of secret and unruly ambition, which acts as the chief spring. Most powers, it is said by Plutarch, employ the relative situations of peace and war, as a current specie, for the purchase of whatever they deem expedient.’

 In the war-ravaged 17th century Europe of Hugo Grotius, to establish the distinction between profaseis and aitias or the pretexts and real reasons for war was not considered heretical in the domain of rigorous juridical discourse. Today, those who make such distinctions are dismissed as ‘paranoid conspiracy theorists’.  In an interview entitled LA PENSÉE CRITIQUE COMME DISSOLVANT DE LA DOXA,(Critical Thought as a solvent of Doxa)French sociologist Loic Wacquant argues that ‘never before have false thought and false science been so prolix and ubiquitous.’[14]

In this age of technological lawlessness, the basic precepts of international and domestic law have been dismantled. With the promulgation of the Patriot Act and now the National Defense Authorization Act, the United States has regressed to the kind of juridical tyranny that preceded the drafting of the Petition of Right in the England of 1628, a document denouncing imprisonment without trial, torture and martial law and providing the legal and moral groundwork for the English Revolution of 1640.

Conclusion

It behooves us all to reflect upon the current war in the Levant.  What we are witnessing is the destruction of the Westphalian state system and a return to the kind of chaos of the 17th century’s Thirty Years War, except this time it is festering on the borders of Europe where the principle of bellum se ipsum alet, war will feed itself, is being acted out by private military corporations, drug gangs, terrorist networks and international crime syndicates linked directly and indirectly to the ideological state apparatuses of the Atlantic powers.

And so, the KLA have been training the ‘Syrian Free Army’, while Libya’s Islamic Fighting Group has also joined the ‘holy war’ in Syria. Like the Thirty Years War, the armed gangs and mercenaries are funding themselves by pillaging the local economies and selling their booty as contraband. Whole factories in Syria have been dismantled and stolen by mercenaries in the service of Turkey and Qatar, while the drug trade is now booming like never before. When one country is destroyed and reduced to despotic fiefdoms and emirates, Western corporations move in with their private military companies and proceed to pillage the country’s resources, unhindered by the rules and regulations of the Sovereign State. The terrorist hordes then move on to the next country on NATO’s hit list. This is NATO’s strategy of chaos, a form of liquid warfare that is spreading rapidly throughout the Southern Hemisphere.

Given the criminality of Western oil companies in the past, it is perhaps not entirely surprising that they would now, in the form of the EU, be openly buying oil from terrorist organizations. What is surprising, however, is the morbid insouciance of Europe’s populations.  How could there be so many ‘respectable’ people in our media and academic institutions prepared to collaborate with these mobsters? Why have there been few if any significant demonstrations against NATO? How is it possible that the powers that be should be allowed to get away with such unmitigated criminality?

The Roman poet Horace wrote- neglecta solent incendia sumere vires -a neglected fire always gathers in strength. Since the destruction of  the Democratic Republic of Afghanistan by the Western-backed Mujahedeen terrorists in the 1979, sovereign states have fallen prey to mercenaries and terrorist gangs backed by Western imperialism, while civil liberties have been curtailed in America and Europe in the name of the ‘War on Terrorism’.

The fire has since spread to the former Yugoslavia; Rwanda; Côte d’Ivoire; Sudan; Somalia; Iraq; DRC; Chechnya,Libya and now Syria. If people don’t wake up and mobilize against the criminals planning these wars, the flames of destruction will eventually come home in the form of martial law, and a fascist, panopticon police state which will be deemed necessary during the prosecution of a Third World War against Iran, Russia and China. If this fire of terrorism is not put out in Syria, it will continue into the Caucasus, Central Asia, the Russian Federation and Eastern China until all possible resistance to NATO’s drive for ‘full spectrum dominance’ is eliminated and a tyrannical, corporate hyper-state rules over the planet.

World wars have happened in the past and given the scelerate Will-to-Power of our current rulers, there is no reason to believe that a world war will not happen again. Many in the West, inured to televised violence and indifferent to distant wars, have a tendency to believe that politics is a domain that does not affect them. But in the words of the French politician Charles de Montalembert  ‘Vous avez beau ne pas vous occuper de politique, la politique s’occupe de vous tout de même.’[It is easy for you not to be concerned about politics, but politics, however, is concerned about you] In the light of current events the statement merits reflection.

Notes

[1]http://www.globalresearch.ca/time-to-end-western-support-for-terrorists-in-syria-opposition-is-entirely-run-by-al-qaeda/5333204

[2] http://www.globalresearch.ca/frances-media-admits-that-the-syrian-opposition-is-al-qaida-then-justifies-french-government-support-to-the-terrorists/5331289

[3] http://unispal.un.org/UNISPAL.NSF/0/9D85892AC6D7287E8525636800596092

 [4] http://www.ohchr.org/EN/ProfessionalInterest/Pages/NaturalResources.aspx

[5]http://www.un.org/documents/ga/res/36/a36r103.htm

[6] http://www.state.gov/r/pa/prs/ps/2012/12/201759.htm

[7] http://www.bbc.co.uk/news/world-middle-east-22275456

[8] http://www.globalresearch.ca/syria-nato-s-next-humanitarian-war/?print=1

[9] http://nsnbc.me/2012/12/28/the-dynamics-of-the-crisis-in-syria-conflict-versus-conflict-resolution-part-5/

[10]http://www.globalresearch.ca/oil-and-pipeline-geopolitics-the-us-nato-race-for-syrias-black-gold/5330216

[11] http://www.franceinter.fr/emission-le-79-marc-trevidic-et-jean-pierre-filiu

[12] http://nsnbc.me/2012/12/28/the-dynamics-of-the-crisis-in-syria-conflict-versus-conflict-resolution-part-5/

[13] http://www.constitution.org/gro/djbp_222.htm

[14][http://www.homme-moderne.org/societe/socio/wacquant/pensecri.html

mercredi, 08 mai 2013

L’Ue resta alla mercé delle agenzie di rating americane

L’Ue resta alla mercé delle agenzie di rating americane

Non riesce la strategia di rompere il monopolio delle agenzie private statunitensi. Dopo molti tentativi la società di consulenza Berger getta la spugna e i tecnocrati europei non favellano

Andrea Perrone

Fallisce il disegno europeo di rompere il monopolio delle agenzie di rating statunitensi. L’intenzione di lanciare un’agenzia indipendente tutta europea non ha avuto seguito per non aver suscitato l’interesse sperato nel mondo delle imprese. Dopo tre anni di sforzi, ha dichiarato il suo cofondatore si è rinunciato ai piani, come si evince da un’intervista pubblicata dal quotidiano tedesco Handelsblatt. “Non c’erano abbastanza investitori”, ha commentato nel corso di una serie di domande il quarantanovenne Markus Krall (nella foto), ex partner tedesco della società di consulenza Roland Berger e ipotetico presidente della naufragata – ancor prima di nascere – agenzia di rating europea.

La società Berger aveva previsto di contribuire a lanciare l’impresa attraverso una ricerca di ben 30 investitori per creare una fondazione con circa 300 milioni di euro di capitale iniziale. I progetti di Krall avevano immaginato un’agenzia in grado di competere alla pari con le statunitensi Standard&Poor’s, Moody’s e Fitch. Tutte e tre le agenzie statunitensi agiscono a scopo di lucro per i loro clienti e per questo Krall aveva tentato di sfidarle nel tentativo di creare un’agenzia di rating Ue sul modello di una Fondazione, affinché contrastasse attivamente e positivamente lo strapotere delle tre Parche della finanza apolide e cosmopolita al servizio dell’usura internazionale, che elevano o affossano Stati e istituti di credito a loro piacimento. Gli investitori, mutuatari, e le amministrazioni pubbliche utilizzano i rapporti di agenzia per contribuire a rendere decisioni di investimento e finanziarie. Tuttavia non va dimenticato il dominio a livello globale dell’impero a stelle e strisce non soltanto politico-militare, ma come conseguenza di questo anche economico fondato sulla potenza del biglietto verde. Le agenzie statunitensi infatti dominano infatti il 95 per cento del mercato globale che ancora usa come moneta di riferimento per il peso a livello globale il dollaro Usa. Tutte e tre hanno subito delle dure critiche in passato per il modo in cui non hanno saputo valutare gli inizi  della crisi finanziaria nel 2008. Standard&Poor’s e Moody’s ha avuto una serie di cause legali stabilirono con l’Abu Dhabi Commercial Bank e la King County di Washington, nei giorni scorsi accettando di pagare dei crediti con l’accusa di aver truffato degli investitori poco prima della crisi immobiliare statunitense, come ha riportato il quotidiano della City, Financial Times. Standard&Poor’s ha precisato che l’insediamento non è un’ammissione di colpa. Il dipartimento di Giustizia degli Stati Uniti è stato anche citato in giudizio da Standard&’sPoor’s per una somma pari a 5 miliardi di euro per aver preteso la concessione di rating migliori sui mutui subprime sulle grandi spese pur conoscendo i pericoli insiti nella loro natura finanziaria. E così i Signori del danaro, i banksters, quelli che speculano ignobilmente sulle miserie dei popoli riescono sempre a farla franca, grazie naturalmente al sostegno palese o velato dei politicanti di tutto il mondo, come dei tecnocrati di Bruxelles e Strasburgo.


Nel gennaio di quest’anno, infatti, l’Europarlamento ha votato nuove regole su quando e come le agenzie di rating possono votare i debiti dello Stato e allo stesso tempo valutare la salute finanziaria delle aziende private. Le nuove regole – affermano gli eurocrati – permetteranno agli investitori privati ​​di citare in giudizio le agenzie per eventuali negligenze, omissioni o attacchi indiscriminati. In più si è posto anche un limite alla partecipazione di un’agenzia di rating nelle aziende valutate, per evitare conflitti di interessi e quindi di valutazione. “Le nuove regole contribuiranno ad una maggiore concorrenza nel settore del rating dominato da pochi operatori di mercato”, ha osservato con poca verve il commissario Ue al Mercato interno Michel Barnier, in linea con il voto espresso dall’Assemblea di Strasburgo. Insomma gli eurocrati sono soddisfatti dell’insuccesso, che lascia lo stesso libertà di movimento in favore dell’usura internazionale alle agenzie di rating made in Usa. I tecnocrati preferiscono lo status quo per restare legati mani e piedi a Signori del danaro, quelli che speculano ignobilmente sui prestiti ad usura, così come all’impero a stelle e strisce, che laddove non arriva a conquistare nuovi mercati causando la povertà con l’oppressione del dollaro, giunge nei luoghi prefissati con i cacciabombardieri a portare la morte.


03 Maggio 2013 12:00:00 - http://rinascita.eu/index.php?action=news&id=20688

mardi, 07 mai 2013

EU wil genmanipulant Monsanto totale macht over ons voedsel geven

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EU wil genmanipulant Monsanto totale macht over ons voedsel geven

Ratten krijgen massaal agressieve kanker van Monsanto's producten, maar de EU heeft deze toch toegelaten.

Als het aan de Europese Unie ligt gaat de Amerikaanse multinational Monsanto bepalen wat wij in de toekomst eten. Diverse onafhankelijke wetenschappelijke onderzoeken hebben de afgelopen jaren uitgewezen dat Monsanto's genetisch gemanipuleerde zaden de gezondheid van zowel mens als dier grote en onherstelbare schade kunnen toebrengen. Niettemin wil de EU de omstreden producten van het concern vrij baan geven. Dat komt niet in de laatste plaats omdat Monsanto lobbyisten een stevige greep op diverse EU commissies hebben gekregen.

Er is veel verzet onder de Europese bevolking tegen de komst van genetische gemanipuleerde zaden, kortweg genzaden genoemd. Zowel vertegenwoordigers van onafhankelijke boeren als milieugroepen proberen te voorkomen dat Brussel binnenkort de complete macht krijgt over alle soorten groenten en fruit. De EU Commissie gaat volgende week een wet voorstellen die het vrijwel onmogelijk maakt om zaden te kopen die niet van de grote concerns afkomstig zijn.

Industrie stelt EU wetten op

Door de extreem complexe en ontransparante EU structuren heeft Brussel het voor gewone burgers doelbewust vrijwel onmogelijk gemaakt om enige invloed uit te oefenen op het besluitvormingsproces. Recent werd duidelijk dat de EU vaak wetten invoert die door lobbyisten van de industriële concerns zijn opgesteld. Amerikaanse internetbedrijven hebben zelfs een speciale stichting die hen toegang tot de EU parlementariërs verzekert.

Ook de zaden- en levensmiddelenconcerns hebben al jaren geleden een stevige greep op Brussel weten te krijgen, zozeer dat niet de politiek, maar de industrie -en met name Monsanto- bepaalt welke wetgeving wordt ingevoerd. Bovendien gebeurt dit op basis van 'wetenschappelijk' onderzoek dat door deze bedrijven zelf is uitgevoerd. De agrochemische lobby -de producenten van zaden en bestrijdingsmiddelen- is hiermee één van de machtigste in de EU. 'Hun handelwijze is deels zeer agressief,' verklaarde Nina Katzemich van de organisatie LobbyControl.

EFSA hand in hand met concerns

Hoe groot de invloed van de machtige biotechbedrijven is blijkt ook uit het feit dat in de zogenaamd onafhankelijke Europese levensmiddeleninstantie EFSA regelmatig personen zitten die rechtstreeks uit de voedselindustriële en agrochemische lobby afkomstig zijn en/of hier jaren een ongezonde relatie mee hebben of hadden:

* Harry Kuiper, EFSA genexpert, bijna 10 jaar nauw samenwerkend met het International Life Science Institute (ILSI) dat gefinancierd wordt door o.a. Coca-Cola, Danone, Kraft, Unilever, Nestlé en McDonald's en dat samenwerkt met Monsanto, Dupont, DowAgroSciences, Syngenta en Bayer;

* Diana Bánáti, bestuursvoorzitter bij zowel de EFSA als het ILSI. Na kritiek van het EU parlement trok ze zich in 2010 uit het ILSI terug, terug om daar in 2012 alsnog naar terug te keren;

* Suzy Renckens, EFSA gentechnologie leider tot 2008, daarna lobbyist namens Syngenta bij dezelfde EFSA;

* Albert Flynn, voorzitter van de voedselcommissie, afkomstig van het Amerikaanse concern Kraft. Hij zorgde ervoor dat omstreden graanproducten van Kraft in de EU werden toegelaten. Andere links tussen de EFSA en de industrie: Jiri Ruprich (Danone), Carlo Agostoni (o.a. Nestlé, Danone, Heinz).

De EU Commissie ging in 2012 zelfs zover door Mella Frewen, voorzitter van de Europese industrielobby FoodDrinkEurope en tevens oud Monsanto medewerker, tot het bestuur van de EFSA te willen benoemen. Na protest van het EU parlement werd haar nominatie ingetrokken.

Twee jaar eerder had de EU Commissie na intensieve lobby van BASF de gen-aardappelsoort 'Amflora' toegelaten. Na een onderzoek van het Corporate Europe Observatory  bleek dat meer dan de helft van de leden van de gentech-raad van het EFSA belangenconflicten hadden met de genetische industrie. De Europese Rekenkamer uitte daar zware kritiek op en het EU parlement eiste vervolgens meer onafhankelijkheid in de EFSA.

Ook andere EU commissies geïnfiltreerd

Andere EU commissies zijn eveneens door de genlobby geïnfiltreerd. Isabelle Clément Nissou zit in de directie van DG SANS (Europese Gezondheid en Verbruikers) en werkt tegelijkertijd voor de GNIS lobbygroep van de genindustrie. Dezelfde GNIS is in Frankrijk belast met de controle van de kwaliteit van het zaaigoed. Nissou heeft op deze wijze al diverse EU wetten negatief beïnvloed.

Eenzelfde dubieuze situatie deed zich voor bij het toestaan van controversiële bestrijdingsmiddelen die voor massale bijensterfte verantwoordelijk worden gehouden.

Onafhankelijk onderzoek ontkend

Ook wat wetenschappelijk onderzoek betreft zit de EU diep in de tas van de industrie, met name van Monsanto. Vorig jaar bleek uit een onafhankelijke Franse wetenschappelijke studie dat Monsanto's genmaïs bij ratten een veel hoger risico op agressieve kanker veroorzaakt. Omdat de EU dit maïs al had toegelaten betitelde Brussel dit Franse onderzoek als 'niet wetenschappelijk' en werd er dus geen actie ondernomen.

Draaideureffect ook in VS

In de VS bestaat hetzelfde 'draaideureffect' tussen politiek en industrie. Voormalig minister van Defensie Donald Rumsfeld was CEO bij voedselconcern Searle en verkocht dit aan Monsanto. Oud Opperrechter bij het Hooggerechtshof Clarence Thomas was advocaat voor Monsanto. Toenmalig minister van Landbouw Anne Veneman had zitting in de toezichtsraad van een Monsanto-dochter. Ex officier van Justitie John Ashcroft was één van de vele politici die grote sommen geld van Monsanto ontving voor zijn herverkiezingscampagne.

Monsanto maakt de dienst uit

De conclusie is duidelijk: Grote multinationals, maar vooral Monsanto, maken wat ons voedsel betreft de dienst uit in Europa. Als het aan de EU en Monsanto ligt gaat dat ook gelden voor de zeer omstreden genzaden. De naar verwachting dramatische gevolgen zijn voor ons en de generaties die na ons komen. En daar kan een andere, even machtige lobby, die van de farmaceutische/medische industrie, weer flink van profiteren.
Winst over rug burgers

De ene industrie maakt ons ziek, en de andere maakt ons weer beter (??). De Europese burger is anno 2013 vervallen tot een product over wiens rug een kleine groep industriëlen zoveel mogelijk winst probeert te maken en daar ruim baan van krijgt van de Brusselse politiek.

Xander

 

(1) Deutsche Wirtschafts Nachrichten

dimanche, 28 avril 2013

Der nächste Krisenkandidat in Euro-Land … die Niederlande

Der nächste Krisenkandidat in Euro-Land … die Niederlande

F. William Engdahl

Als die griechische Schuldenkrise zum Jahreswechsel 2009/2010 ausbrach, versicherten uns ach-so-schlaue deutsche Politiker wie Bundeskanzlerin Merkel und Finanzminister Schäuble, die Krise könne durch drastische Haushaltseinsparungen in Griechenland selbst eingedämmt werden. In Euro-Land werde alles wieder gut. 

dimanche, 21 avril 2013

Fonder un Etat européen

Contre l’Europe de Bruxelles 

Fonder un Etat européen,

par Gérard Dussouy

 

[Lecture] Contre l’Europe de Bruxelles – Fonder un Etat européen, par Gérard Dussouy


PARIS (NOVOpress Breizh) - Auteur d’ouvrages concernant la géopolitique et les relations internationales (« Traité de l’interétatique », « Les théories de la mondialité » et « Les théories géopolitiques » Editions de l’Harmattan), Gérard Dussouy, professeur émérite à l’Université Montesquieu de Bordeaux (géopolitique et relations internationales), vient de publier aux Editions Tatamis un livre intitulé « Contre l’Europe de Bruxelles – Fonder un Etat européen », préfacé par l’historien Dominique Venner.

 

Dans ce nouvel ouvrage, Gérard Dussouy commence par exposer la situation de l’Europe en matière de démographie, de défense, d’économie et d’identité. Il fait un parallèle entre la situation de l’Empire romain finissant et celle de l’Union Européenne à bout de souffle qui présente, selon lui, tous les symptômes du « syndrome romain » : effondrement démographique, submersion migratoire, vieillissement des élites, délitement des cultures nationales, anomie sociale, fuite dans l’individualisme, déclin économique accéléré, finances publiques en perdition, incapacité à prévenir et à maîtriser les perturbations de toutes natures en provenance de son environnement international, déclin militaire et désarmement programmé .

Face à la crise généralisée que connaît l’Europe, Gérard Dussouy nous invite à dépasser le cadre national qui est trop petit pour résoudre les grands problèmes et trop grand pour satisfaire aux besoins locaux ; ce dépassement devrait avoir pour objectif la création d’un Etat fédéral des régions d’Europe dans lequel les grands pays seraient démembrés en régions qui deviendraient, au même titre que les petits pays, des régions fédérées constitutives de l’Etat européen.

L’abandon de l’Union européenne actuelle et la formation d’une Europe fédérale des régions, qui peut sembler utopique aujourd’hui, pourraient avoir lieu à la faveur d’un stress majeur des populations européennes soumises à un faisceau de crises simultanées ( crise économique, crise inter-ethnique, crise d’identité, crise sociale, crise du système politique, crise géopolitique ) et d’une communication intra-européenne intense qui permettrait de secréter une nouvelle symbolique et une nouvelle culture politique européenne .

Pour ce faire, l’auteur écrit qu’il est indispensable de mettre en œuvre très rapidement, parce que nous ne disposons pas de beaucoup de temps avant qu’il ne soit trop tard, des mouvements citoyens européistes porteurs d’une culture politique européenne et susceptibles de la diffuser . Les partis politiques de gouvernement, paralysés par les ambitions personnelles et une idéologie qui participe à la fois de l’universalisme et d’un nationalisme étriqué sont incapables de contester le bien fondé d’une représentation dominante du monde qui n’offre aux peuples européens d’autre alternative que de subir. Quant aux mouvements dits « populistes », l’auteur considère que ceux d’extrême-droite surestiment beaucoup les effets d’un repli sur le pré-carré national et que ceux d’extrême-gauche s’évertuent à vouloir faire croire que le socialisme, dont eux seuls ont saisi l’essence, est toujours malgré ses réfutations par le réel, répétées ici et là, partout à travers le monde, la voie du bonheur pour l’humanité toute entière .

Gérard Dussouy pense que seule la création d’un tel état fédéral serait en mesure de prendre les mesures nécessaires à un redressement de l’Europe : mise en place de frontières géographiques, démographiques et économiques; création d’un espace économique semi-autarcique et protégé; politique de redressement de la natalité des Européens; sortie de l’OTAN et création d’un système de défense strictement européen ; partenariat économique, militaire, scientifique et culturel avec la Russie; développement de pôles européens de recherche et développement . La création d’un état fédéral permettrait également de résoudre la crise liée à la monnaie unique en permettant les transferts nécessaires entre les régions d’Europe les plus favorisées et celles qui le sont moins.

Ce livre est important parce qu’il constitue une excellente synthèse de la problématique géopolitique et économique commune à l’ensemble des peuples européens. Les lecteurs pourront apprécier diversement la solution envisagée par l’auteur pour sortir de la situation funeste dans laquelle nous sommes aujourd’hui, mais il est indispensable pour mener une réflexion sur le sujet essentiel du devenir de l’Europe.

François Arondel

Contre l’Europe de Bruxelles – Fonder un Etat européen, par Gérard Dussouy, Editions Tatamis, 180 pages, 14 € (port compris). Commander

[cc] Novopress.info, 2013. Les dépêches de Novopress sont libres de copie et diffusion sous réserve de mention de la source d'origine. La licence creative commons ne s'applique pas aux articles repris depuis d'autres sites [http://fr.novopress.info/]

samedi, 06 avril 2013

Herman van Rompuy als Gollum

Herman van Rompuy als Gollum

Herman van Rompuy
 

Briljante karikatuur van de geniale tekenaar Joe Lecorbeau.

Ex: http://www.solidarisme.be/

mardi, 02 avril 2013

Crise à Chypre: Et si le rêve européen touchait à sa fin?

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Crise à Chypre: Et si le rêve européen touchait à sa fin?

Un peu d’histoire

Les récents événements à Chypre ont donné lieu à un déferlement médiatique excessif et souvent bien éloigné de la réalité. La partie sud de l’île de Chypre (la partie nord étant envahie militairement par la Turquie depuis 1974) est peuplée de 770.000 habitants et ne représente que 0,3% du PIB de la zone euro. L’île, bien que relativement méconnue du grand public, du moins jusqu'à cette crise, a eu une histoire très tumultueuse la partageant largement entre l’Occident et l’Orient. Les lecteurs souhaitant en savoir plus peuvent consulter cette histoire illustrée de l’île s’arrêtant à 2004.

C’est justement à cette date que Chypre a intégré l’Union Européenne (le pays étant le plus riche des nouveaux entrants à l’époque) puis en 2008 Chypre a intégré la zone euro. A ce moment l’île connaissait déjà des afflux de capitaux russes et la législation fiscale y était déjà sensiblement la même qu’aujourd’hui. La même année la crise financière à frappé l’île comme tous les pays occidentaux et lors de la restructuration de la dette Grecque, les actifs des banques Chypriotes (qui contenaient une forte proportion de bons du trésor grecs) ont été brutalement dévalorisés par cette décision de l'Eurogroupe. Le pays en 2011 avait pourtant une dette en pourcentage du PIB inferieure à celle de la France, de  l’Italie et  de l’Allemagne. Jacques Sapir rappelle en outre que les banques chypriotes ont aujourd’hui des actifs qui sont égaux à 7,5 fois le PIB de l’île, alors que la moyenne dans l’UE est de 3,5 fois, mais que c’est largement moins par exemple que le Luxembourg dont les actifs bancaires pèsent 22 fois le PIB.

Le racket fiscal: nouvelle solution pour régler la crise?

La Troïka (une alliance de la BCE, du FMI et de l’UE) a donc choisi une mesure radicale pour récupérer la trésorerie nécessaire au renflouement des banques: le prélèvement de l’argent via une ponction obligatoire pour tous les détenteurs de comptes sur l’île. Une mesure sans précédent et vraisemblablement contraire à toutes les normes juridiques bancaires internationales, que les autorités russes ont qualifié non seulement d’injustes et dangereuses et qui montrent bien selon eux que le modèle économique néolibéral est complètement épuisé. Des officiels russes ont même parlé d’une mesure de type soviétique et la presse russe à elle titré sur la fin de l’Europe civilisée.

Les commentateurs français quand à eux ont ces derniers jours au contraire justifié ce racket fiscal imposé sur les comptes chypriotes par la Troïka en affirmant qu’après tout on y prélevait de l’argent sale et russe, ou russe et donc sale, et que par conséquent la mesure était justifiée. Mention spéciale à Marc Fiorentino pour qui il ne faut pas "s’emmerder" avec ce pays (…) Dans "lequel les gens ne payent pas leurs impôts (…) Et en frappant l’argent de la mafia russe". Les Chypriotes apprécieront. Pour Christophe Barbier la mesure vise "l’argent pas propre de Chypre" ce que les milliers de petits salariés qui risquent d'être maintenant licenciés auront sans doute du mal à croire.

Les politiques ne sont pas en reste. Pour le Ministre délégué auprès du ministre des Affaires étrangères Bernard Cazeneuve "il est normal que les oligarques russes payent", pour Alain Lamassoure "il est normal que la lessiveuse à laver l'argent sale qu'est Chypre soit arrêtée et que les oligarques russes payent" et pour Daniel Cohn-Bendit "qu'on taxe un oligarque russe ne va pas lui faire mal digérer ce qu'il a mangé ce soir" (sources). Quand a François d’Aubert il affirme lui "qu’il n’y a pas de raison que le contribuable européen finance l’épargne des oligarques russes".

On aimerait bien entendre les mêmes commentateurs sur les investissements russes en Angleterre, ce pays qui accorde le droit de résidence à un grand nombre d’oligarques dont on peut grandement douter qu’ils aient fait fortune légalement, ou même et pour faire plus proche sur nombre d’investissements russes en France notamment sur la cote d’Azur à la fin des années 90.

Romaric Gaudin remet lui relativement les pendules à l’heure en rappelant que "Les Européens, prompts à pleurer sur le sort peu enviable de Mikhaïl Khodorkovski oublient que ce dernier avait construit son empire sur la banque Menatep, basée à… Chypre" ou encore que "Lorsque l’argent russe va vers Chypre, il est forcément sale. En revanche, lorsque l’argent russe construit un gazoduc sous la baltique vers l’Allemagne, investit dans le football britannique, il devient respectable".

Les mythes sur Chypre ont la peau dure

A Chypre, en y regardant de plus près, la situation n’est pas vraiment celle décrite dans la presse francophone.

D’après l’économiste Natalia Orlova, le montant des dépôts dans les banques chypriotes s’élève à 90 milliards d’euros (particuliers et entreprises) dont seulement 30% est détenu par des personnes (morales ou physiques) pas originaires de la zone Euro. Les dépôts russes à Chypre sont selon elles estimés à environ 20 milliards et 13 milliards correspondent à des dépôts grecs, britanniques mais aussi du Moyen-Orient. L’immatriculation de sociétés a en effet contribué à la fortune de Chypre, qui offre il est vrai un cadre légal et fiscal avantageux et très souple. De nombreuses sociétés se sont ainsi très logiquement et légalement domiciliées à Chypre, au sein de l’Union Européenne. Parmi elles de nombreuses sociétés russes ayant des activités économiques intenses avec l’UE, bénéficiant à Chypre d’un régime fiscal avantageux (I.S à 10%) et d’un traité de non double imposition leur permettant donc de rapatrier leurs profits  en Russie sans être taxées deux fois.

Les arguments basés sur la "volonté de lutter" contre le blanchiment d’argent sale et russe, ou russe et forcément sale, ont tourné à la caricature grotesque puisque si les dépôts russes à Chypre se montent à environ 20 milliards d’euros, à titre de comparaison l’an passé, on a enregistré 120 milliards d’euros de mouvements de fonds russes vers Chypre, mais aussi et surtout 130 milliards d’euros de mouvements de fonds de Chypre vers la Russie (sources ici et la). Depuis 2005 les investissements de Chypre vers la Russie sont supérieurs aux investissements de Russie vers Chypre! Selon Marios Zachariadis, professeur d'économie à l'université de Chypre: "la proportion des avoirs étrangers illégaux à Chypre n’est pas supérieure à ce qu'elle est en Suisse ou au Luxembourg", pays qui vient par ailleurs il y a peu de signer le traité de non double imposition avec la Russie tout comme Chypre. Une réalité confirmée par le secrétaire d’Etat allemand aux Finances, Stefan Kampeter qui a explicitement affirmé qu’il "n’y avait aucun signe à Chypre de dépôt illégal et que les allégations de blanchiment d’argent contre Chypre ne pouvaient être prouvées".

Le parlement chypriote a voté contre le pan initial de la Troïka qui envisageait un prélèvement obligatoire sur tous les comptes de l’île et c’est seulement dans la nuit de dimanche à lundi dernier qu’un accord a été trouvé, à savoir le prélèvement de 100% des actifs au-dessus de 100.000 euros sur tous les comptes de la banque la plus malade de l’île, et un pourcentage non encore fixé (30 à 40%) au-dessus de 100.000 euros sur tous les comptes de la seconde grande banque du pays. En clair, le racket pur et simple de l’argent chypriote et non chypriote (russe, est européen, anglais et oriental) massivement stocké dans les deux principales banques de l’île. Est-ce normal que des actifs étrangers légaux payent pour la crise grecque? Peut-on imaginer les sociétés françaises ou américaines de Russie se faire taxer 40% de leurs actifs pour payer la dette d’un pays qui au sein de l’Union Eurasiatique serait mal en point? On peut tenter d’imaginer la réaction américaine dans une telle situation.

La guerre financière, entre énergie et orthodoxie

Chypre apparaît en réalité de plus en plus comme un maillon (un pion pour Thierry Meyssan) au cœur d’une tension géopolitique opposant de plus en plus directement et frontalement la Russie et l’Occident.

L’Eurogroupe a sans doute rempli ses objectifs réels. Tout d’abord celui de prendre une mesure test sur un pays de petite taille et qui a sans doute servi de laboratoire. Déjà l’Espagne et la Nouvelle Zélande se sont dites prêtes à faire passer une mesure similaire, pour combler le déficit de leurs systèmes bancaires. Nul doute que la liste va s’allonger. Les conséquences vont sans doute être très lourdes et pourraient insécuriser de nombreux titulaires de comptes dans la zone Euro. Bien que l'Eurogroupe répète en boucle que Chypre est un cas bien à part, nombreux sont les Européens tentés de déplacer leurs actifs financiers ailleurs, et sans doute outre-Atlantique, affaiblissant ainsi de plus en plus l’Europe et la zone euro. Les Chypriotes l’ont bien compris en brandissant dans la rue des pancartes "Nous ne serons pas vos cobayes" et alors que les rues de Nicosie sont pleines de messages adressés aux frères orthodoxes russes et que les manifestations de ces derniers jours voient fleurir les drapeaux russes.

Après la faillite de la Grèce, la Russie s’était engagée il y a près d’un an sur la voie du rachat du consortium gazier grec DEPA/DESFA par Gazprom. Ces négociations intervenaient quelques mois après la chute du régime libyen (et la perte financière importante liée pour Moscou) mais elles se sont visiblement arrêtées lorsqu’il y a un mois le département d'Etat américain a tout simplement mis en garde Athènes contre une coopération énergétique avec Moscou et déconseillé une cession de DEPA à Gazprom qui "permettrait à Moscou de renforcer sa domination sur le marché énergétique de la région". Empêcher une plus grande intégration économique Russie-UE est-il vraiment dans l’intérêt de l’Europe aujourd’hui alors que le président chinois vient de faire sa première visite internationale à Moscou avec à la clef une très forte intensification de la coopération politique, militaire mais aussi et surtout énergétique entre les deux pays ?

En sanctionnant ainsi directement les actifs russes dans les banques de Chypre, c’est la Russie qui est directement visée et touchée. Bien sur les Russes ont logiquement des visées et elles sont bien plus importantes que la simple exploitation du gaz offshore dont le consortium russe Novatek a été exclu de façon assez inexpliquée. D’après l’expert en relations internationales Nouriel Roubini, la Russie vise simplement l’installation d’une base navale sur l’île (ce que les lecteurs de RIA-Novosti savent depuis septembre dernier) et que les Russes pourraient tenter de monnayer en échange d’une aide financière à Nicosie.  

A ce titre, les négociations russo-chypriotes n’ont pas échoué contrairement à ce que beaucoup d’analystes ont sans doute hâtivement conclu. Mais Chypre ne se trouve sans doute pas suffisamment dans la sphère d’influence russe au vu de la dimension de tels enjeux. Il faudrait pour cela qu’elle quitte l’UE et rejoigne la Communauté économique eurasiatique, comme l’a clairement indiqué Sergueï Glaziev, le conseiller du président Poutine.

Il faut rappeler que Sergueï Glaziev avait au début de cette année dénoncé la "guerre financière totale que mènent les pays occidentaux contre la Russie aujourd’hui". Une guerre financière qui semble confirmée par les dernières menaces de la BCE envers la Lettonie pour que celle-ci n’accueille pas d’éventuels capitaux russes qui pourraient vouloir sortir de Chypre.

Sur le plan extérieur, Chypre reste un maillon crucial pour la Russie dans le cadre de son retour au Moyen-Orient et en Méditerranée, mais aussi dans le cadre de ses relations avec l’Occident. Sur le plan intérieur, le pouvoir russe peut enfin montrer qu’il est décidé à maintenir ses objectifs de lutte contre l’offshorisation de l’économie russe, dont Vladimir Poutine avait fait un point essentiel, dans son discours de fin d’année 2012. C'est dans cette optique que le groupe public russe Rosneft vient d’indiquer qu’il allait rapatrier de plusieurs zones du monde réputées offshore les actifs hérités lors de l’acquisition de son concurrent anglais: TNK-BP, notamment de Chypre et des Caraïbes.

Au cœur du monde orthodoxe, la fin du rêve européen?

Mais pendant qu’Occident et Russie s’affrontent par territoires interposés au cœur de la Méditerranée (Grèce, Syrie, Chypre…) le peuple chypriote et les dizaines de milliers de travailleurs anglais et est-européens immigrés à Chypre vont payer la facture et sans doute traverser des années difficiles, Jean Luc Mélenchon a par exemple déjà promis l’enfer aux Chypriotes.

Alors que la Bulgarie a récemment  interrompu ses négociations d’intégration à l’euro, la Grèce continue à s'enfoncer dans l’austérité. A Chypre aujourd’hui, selon les derniers sondages, 67% des habitants souhaitent désormais que leur pays quitte la zone euro, l’UE, et se rapproche de la Russie, une position soutenue activement par l’église orthodoxe chypriote.

Au cœur de la Méditerranée et du monde orthodoxe, le rêve européen semble toucher à sa fin.

L’opinion exprimée dans cet article ne coïncide pas forcément avec la position de la rédaction, l'auteur étant extérieur à RIA Novosti.

Alexandre Latsa est un journaliste français qui vit en Russie et anime le site DISSONANCE, destiné à donner un "autre regard sur la Russie".

Par ailleurs veuillez trouver les dernières interventions dans la presse Mainstream concernant le dossier chypriote ci-dessous:

Chypre, les dessous d'une plaque tournante pour l'argent russe
http://www.latribune.fr/actualites/economie/international/20130320trib000755038/chypre-les-dessous-d-une-plaque-tournante-pour-l-argent-russe.html

Ce que la Russie veut imposer à Chypre
http://www.latribune.fr/actualites/economie/international/20130319trib000754863/ce-que-la-russie-veut-imposer-a-chypre.html

Chypre un cadeau pour Poutine?
http://www.europe1.fr/Economie/Chypre-c-est-un-cadeau-pour-Poutine-1460199/

vendredi, 15 mars 2013

Le 1914 du dirigeant européen type

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Le 1914 du dirigeant européen type

Ex: http://www.dedefensa.org/

Le fait de ce que nous nommons “tournant de crise” (voir le 11 mars 2013), en référence à divers événements européens, notamment en Italie (voir le 9 mars 2013), ou à des analyses comme celle de George Friedman (voir le 11 mars 2013), constitue un puissant élément amenant chez les dirigeants européens un trouble profond, et des jugements à mesure. C’est le cas du Luxembourgeois Jean-Claude Juncker, ancien président de l’Eurogroupe et Premier ministre dans son pays, dans une interview au Spiegel, dont EUObserver donne une analyse succincte le 11 mars 2013.

 

Les réactions de Juncker sont typiques de la psychologie des dirigeants européens, de leur culture, de leur perception de l’histoire, dans le chef d’une orientation complètement déformée de la psychologie. La principale trouvaille de cette interview est que Juncker, très inquiet de la situation, découvre que les “démons dormants de la guerre” peuvent à tout moment se réveiller en Europe. Il considère que cette situation de 2013 ressemble à s’y méprendre à celle de 1913, ainsi 2013 avant 2014 comme 1913 se plaçait assez logiquement avant 1914 … On connaît la suite et l’on comprend l’analogie, fortement marquée à la fois d’un symbolisme assez primaire et de ce qui serait presque un brin de superstition. (D’ailleurs, on notera que Juncker n’est pas le seul à “penser” de la sorte. Il est en bonne compagnie : Sister Sorcha Faal suit aussi cette perspective [voir le 4 mars 2013].)

 

«“For my generation the common currency always meant politics of peace. Today I am to some extent saddened to see that too many in Europe are again lost in petty national thought processes,” the Luxembourg Prime Minister said in an interview with Der Spiegel published on Monday (11 March). He criticised German politicians who attacked Greece when the crisis started and “left deep wounds” in the southern country. “I was equally shocked by the banners in Athens protests depicting Chancellor Merkel in a Nazi uniform. Suddenly these resentments reappeared, that we had thought were long gone. The Italian election campaign was also excessively hostile against Germany and therefore anti-European.”

 

»“Those who think that the question of war can never be raised in Europe any more may be massively wrong. The demons are not gone, they are only sleeping, as the wars in Bosnia and Kosovo have shown. I am astounded to what extent the European situation today is similar to 100 years ago,” Juncker said, in reference to 1913, the year before the first world war broke out. “There are striking parallels to 1913 in respect to carelessness. Many in Europe back then thought a war could never happen again. The big powers on the continent were economically so closely intertwined that there was a widespread belief they could simply not afford a military conflict. Especially in northern and western Europe there was a deep complacency stemming from the idea that peace was forever granted.”

 

»But still Juncker insisted that governments need to stick with unpopular austerity measure that are driving people to the streets in protest. “You cannot adopt wrong policies just because you're afraid of not being re-elected. Those in government must take responsibility for their country and for Europe as a whole.”»

 

Ces quelques extraits des considérations d’un dirigeant européen d’une réelle importance (avec la présidence de l’Eurogroupe pendant un temps assez long, en plus de sa fonction de Premier ministre) illustrent parfaitement, selon nous, l’espèce de dysfonctionnement intellectuel systématique qui affecte cette catégorie de dirigeants-Système. On y trouve, sous l’empire d’une psychologie complètement déformée par l'épuisement de leur fonction-Système, justement l’ignorance complète du facteur psychologique, en même temps qu’une culture historique tellement réduite aux seuls schémas économistes, et bien entendu anglo-saxons, qu’elle en devient inculture presque parfaite. Voici quelques remarques plus substantivées dans ce sens.

 

• La présentation de l’année 2013 comme équivalent à l’année 1913 parce qu’en 1913 on pensait que “la guerre n’aurait jamais plus lieu” à cause des aspects économiques développés par l’habituel épouvantail de la globalisation et des interconnexions économiques (thème très à la mode anglo-saxonne dans l’analyse de la situation du début du XXème siècle) est complètement démentie par une appréciation culturelle et psychologique de la situation. Nous avons analysé à diverses reprises l’événement fondamental de la Grande Guerre, et nous avons notamment regroupé, le 9 août 2012, des extraits de divers textes où nous abordons cette question fameuse de l’origine de la Grande Guerre en écartant complètement cette approche (type “personne ne pensait la guerre possible“ et “la situation rendait la guerre improbable sinon impossible”). Les documents abondent à cet égard, qui montrent non pas la possibilité de la guerre, mais une perception beaucoup plus fondamentale du caractère inéluctable d’un conflit à venir, comme une sorte de fatalité qui correspondait selon nous à un moment-clef du destin du Système. Dans les textes cités, on trouve notamment ces deux extraits…

 

«En 1933, l'excellent Jules Isaac (des fameux livres scolaires Malet et Isaac) consacra une étude détaillée aux origines de la guerre. Il écrivit, parce que l'historien était aussi témoin, et même acteur, et que, retour de la guerre, il devait cela à son ami Albert Malet, tombé en Artois en 1915. “Quand le nuage creva en 1914, quel était le sentiment dominant parmi nous [en France] ? La soif de revanche, le désir longtemps contenu de reprendre l'Alsace-Lorraine ? Tout simplement, hélas, l'impatience d'en finir, l'acceptation de la guerre (quelle naïveté et quels remords !) pour avoir la paix. L'historien qui étudie les origines de la guerre ne peut négliger ce côté psychologique du problème. S'il l'examine de près, objectivement, il doit reconnaître que, depuis 1905 (à tort ou à raison), on a pu croire en France que le sabre de Guillaume II était une épée de Damoclès.”» […]

 

«Il nous semble que cet extrait d’une lettre d’un Allemand à un Allemand, de Rathenau retour d’Angleterre après une visite de plusieurs capitales européennes, adressée au prince von Bülow, sonne comme une description ‘climatique’ qui est comme une réponse à Jules Isaac : “Il y a un autre facteur important, auquel en Allemagne nous ne prêtons pas toujours attention : c'est l'impression que fait l'Allemagne vue du dehors ; on jette le regard sur cette chaudière européenne (c'est moi qui souligne [écrit von Bulow, en commentaire de la lettre de Rathenau]), on y voit, entourée de nations qui ne bougent plus, un peuple toujours au travail et capable d'une énorme expansion physique ; huit cent mille Allemands de plus chaque année ; à chaque lustre, un accroissement presque égal à la population des pays scandinaves ou de la Suisse ; et l'on se demande combien de temps la France, où se fait le vide, pourra résister à la pression atmosphérique de cette population”.»

 

• Il s’agit ainsi de relever la complète méconnaissance des véritables facteurs qui conduisent à des guerres de la dimension de la Grande Guerre, dans le chef de la dynamique psychologique des peuples et des tensions culturelles fondamentales. Juncker parle comme si les dirigeants politiques, notamment européens, dirigeaient encore quelque chose, puisque son avertissement va aux dirigeants européens qui appliquent une politique d’une exceptionnelle rigueur et, constatant les résultats des mécontentements populaires, tendent à en rejeter la responsabilité sur des facteurs extérieurs, faisant ainsi naître des conceptions complètement erronées sur des possibilités de conflits entre eux. Aujourd’hui, plus que jamais dans l’Histoire et d’une façon presque surréaliste dans son aspect d’inversion, les dirigeants politiques ne dirigent plus rien ; ils exhalent leur désarroi devant les résultats d’une action qu’ils croient parfois concevoir et initier et qui leur est dictée par d’autres forces, et ce désarroi sous la forme de rappels historiques d'une rare pauvreté d’une Histoire qu’ils interprètent selon leurs conceptions actuelles et leurs perceptions courantes. Il est difficile d’enchaîner autant d’erreurs dans une seule démarche intellectuelle ; ils y arrivent pourtant.

 

• Assez curieusement, à notre sens, l’intention dramatique de Juncker de rappeler 1913 par rapport à 1914, pour sembler faire montre d’une certaine responsabilité du jugement, est si trompeuse et inappropriée qu’elle conduit tout droit à l’irresponsabilité du jugement… Aujourd’hui, le sentiment général se préoccupe effectivement assez peu d’un conflit comme celui de 1914, parce que les tensions ne vont absolument pas dans ce sens (une nation/un groupe de nations contre une nation/un groupe de nations), ni dans le sens “technique” d’une guerre de cette sorte qui est l’expression spécifique d’une époque par rapport à la crise de la modernité. Le sentiment général, qui perçoit justement (avec justesse) les directions politiques comme complètement phagocytées par les lois du Système, va dans le sens d’une révolte générale contre ces dirigeants et ce Système. Le jugement “personne ne songe à la guerre mais la guerre est très possible” devient alors complètement dysfonctionnel et absurde : “personne ne songe à la guerre” parce que tout le monde songe à quelque chose de beaucoup plus grave, qui est de plus en plus la mise en cause d’une civilisation qui est devenue une “contre-civilisation”, cette mise en cause pouvant éventuellement englober une guerre, certes, mais se situant dans l’esprit de la chose bien au-delà puisque qu’elle concerne l’effondrement d’un Système et d’une civilisation…

 

• …Et le dirigeant qui livre ces platitudes faussaires sur la référence 1913-1914 poursuit son discours en ajoutant vertueusement qu’il faut bien entendu poursuivre l’acte qui sert précisément à la fois de révélateur et de détonateur à cette mise en cause du Système et de la civilisation (»But still Juncker insisted that governments need to stick with unpopular austerity measure that are driving people to the streets in protest…»). Un tel dysfonctionnement intellectuel, une telle absence de la considération du rapport de cause à effet, une telle ignorance des facteurs psychologiques et culturels, un tel mépris pour le fondement métahistorique de toute expérience réelle, sont remarquables par leur unicité faussaire. Cette attitude constitue rien de moins qu’une justification intellectuelle de plus, voire même l’essentielle justification de cette révolte générale contre ces dirigeants, celle-là que ces dirigeants voudraient tant transformer en une interprétation au goût du jour d’un conflit passé pour pouvoir mieux mettre en évidence combien leur formule actuelle de gouvernement du monde (de l’Europe) reste vertueuse et juste. Un tel acharnement pour brandir leur vertu et affirmer leur justesse montre une divination inconsciente de leur responsabilité fondamentale dans ce qu’ils dénoncent comme un terrible danger, et qui l’est effectivement même travesti en une resucée de la Grande Guerre. Cela conduit à conclure, analogie historique faussaire mise à part, qu’un sentiment obscur et inconscient les amène à se douter de quelque chose, autant à propos de leur culpabilité que de leur vulnérabilité, et des conséquences...

Die Grenzen sind offen

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Die Grenzen sind offen

 

Ein internes EU-Dokument deckt nun schonungslos auf, was der Bevölkerung von den herrschenden politischen Eliten verschwiegen wird. Die Zuwanderung nach Europa ufert immer mehr aus und hat mittlerweile schwindelerregende Höhen erreicht. So beträgt alleine die Anzahl der illegalen Einwanderer geschätzte 900.000 Personen pro Jahr. Rechnet man dazu noch die legale Migration, so zeigt sich, daß die von mir schon 1991 prophezeite Umvolkung in vollem Gange ist. Berechnungen, wonach die Zuwanderer im Jahr 2050 gegenüber der autochthonen Bevölkerung in einigen Mitgliedstaaten in der Mehrheit sein werden, müssen aufgrund der neuen Erkenntnisse wohl nach unten korrigiert werden.

 

Lesen Sie das Dokument im Original: http://www.statewatch.org/news/2010/aug/eu-council-eurojust-europol-frontex-int-sec-9359-10.pdf

 

 

 

mercredi, 27 février 2013

Die Obama-Falle

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Andreas Mölzer:

Die Obama-Falle

Die USA wollen Europa die handelspolitische Eigenständigkeit nehmen

Ex: http://www.andreas-moelzer.at/  

Barack Obama hat bei seiner Rede zur Lage der Nation angekündigt, er wolle mit der Europäischen Union Verhandlungen über eine transatlantische Freihandelszone beginnen. Und die begeisterten Reaktionen des Brüsseler Establishments lassen befürchten, daß die Europäer in die vom US-Präsidenten gestellte Falle tappen werden. Denn eines ist klar: Ob eine Freihandelszone mit den Vereinigten Staaten im europäischen Interesse liegt, ist mehr als zweifelhaft.

Insbesondere geht es Washington darum, das Modell einer globalisierten Wirtschaft nach US-Vorstellungen auch in Europa durchzusetzen. Ziel der EU muß aber sein, die europäische Wirtschaft gegenüber unlauterer Konkurrenz zu schützen, auch wenn dies den Dogmen eines ungehinderten Freihandels widerspricht. Und wie andere Abkommen mit den USA – etwa jenes zum Austausch von Fluggastdaten – zeigen, ist Brüssel bereit, europäische Interessen ohne Wenn und Aber zu verraten.

Vor allem aber hätte eine Freihandelszone mit der EU für die USA einen großen Vorteil: Den Europäern würde ihre handelspolitische Eigenständigkeit genommen werden. Denn anders als in der Außen- und Sicherheitspolitik hat sich Brüssel bisher nicht gescheut, in Wirtschaftsfragen europäische Interessen, etwa durch Verhängung von Schutzzöllen, zu verteidigen. Und genau diese Instrumente soll die EU verlieren.

vendredi, 01 février 2013

Europe : Les jeunes générations sont-elles perdues ?

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Europe : Les jeunes générations sont-elles perdues ?

 

A chaque crise sérieuse, on se lamente sur le sort des jeunes qui ne trouvent pas de travail et que l’on qualifie de “génération perdue”. Mais de telles générations, il y en a eu d’autres dans l’histoire et à chaque fois, elles s’en sont sorties, écrit , un chroniqueur polonais.

Ils devaient être notre espérance, mais ils sont devenus un fardeau. Plus de 400.000 jeunes Polonais sont sans emploi. Et peu en parlent autrement que sous le terme de “génération perdue”. Le fléau concerne l’ensemble du continent européen, mais demeure particulièrement grave dans le Sud.

Selon les données d’Eurostat, publiées en octobre, le taux de chômage des moins de 25 ans atteint 27,8 % en Pologne, contre 55,9% en Espagne, 57% en Grèce et 36,5% en Italie. Même dans un pays aussi riche que la France, un jeune sur quatre est sans emploi.

Des statistiques biaisées

De telles statistiques impressionnent, mais elles prêtent aussi à confusion. Elles ne prennent en compte que ceux qui travaillent ou ne travaillent pas, laissant ainsi de côté tous ceux qui étudient, font des stages professionnels, voyagent, ou ne travaillent pas par choix. De ce point de vue, le concept NEET, mis en place par l’Organisation mondiale du travail, paraît mieux adapté pour mesurer le phénomène du chômage de jeunes.

Quand on quantifie les personnes qui ne travaillent pas, n’étudient pas et ne sont pas en formation (No Employment, Education, Training – NEET), il s’avère qu’elles représentent 15,5 % des Polonais âgés de 15 à 29 ans. Bien sûr, c’est toujours trop (une augmentation de 22 % depuis le début de la crise), mais ce n’est plus qu’une personne sur six, et non plus une sur deux, qui se retrouve réellement “sans perspectives”.

Comment parler d’une génération perdue, quand cinq jeunes sur six suivent un parcours sensé ? Ce n’est guère différent dans le reste de l’Europe. Le taux de NEET est de 23 % en Grèce et de 21% en Espagne. Et dans des pays comme les Pays-Bas et l’Autriche, il tombe à 5-8 % seulement.

Jeunes, sans emploi mais pas sans avenir

Paradoxalement, une telle proportion de jeunes parmi les chômeurs peut être source d’espoir. L’exemple de l’Espagne est très éloquent à cet égard. L’explosion du chômage dans ce pays résulte moins de la récession que de la réforme du marché du travail menée par le Premier ministre Mariano Rajoy.

“Grâce aux mesures mises en oeuvre, les employeurs peuvent licencier bien plus facilement, mais quand la conjecture est plus favorable, ils n’hésiteront pas à réemployer”, estime Jorge Nunez du CEPS (Centre for European Polcy Studies) à Bruxelles. Avant les réformes de Rajoy, les sociétés espagnoles devaient négocier les changements dans les contrats de travail avec les syndicats de branche, et non au niveau des entreprises.

En dépit de cette réglementation stricte, héritée de l’époque de Franco, une fois la prospérité retrouvée, les entrepreneurs espagnols ont repris systématiquement le risque de recruter de nouveaux employés. Après l’adhésion à l’UE en 1986, le taux de chômage chez les jeunes a été divisé par deux en trois ans, en tombant à 18 %. Les jeunes Espagnols sortiront-ils cette fois la tête de l’eau aussi rapidement ?

Zsolt Darvas, de l’Institut Bruegel, à Bruxelles, explique : “Une chose est sûre, il s’agit de la génération la mieux formée dans l’histoire de ce pays. Grâce aux réformes de Monsieur Rajoy, l’économie espagnole a rapidement gagné en compétitivité : le commerce extérieur du pays enregistrait, il y a encore 5 ans, un déficit de 11 % du PIB. Depuis, il connaît un excédent commercial équivalant à 2 % du PIB”.

Un choc salutaire

La Pologne est dans une situation comparable. Notre pays a déjà connu deux vagues de “ générations perdues” en 1992/1993 et 2002/2003, et en vit une troisième à l’heure qu’il est. Même en s’appuyant sur les statistiques pessimistes du GUS (Office centrale de statistiques), on s’aperçoit que le chômage touche aujourd’hui deux fois moins de jeunes Polonais de moins de 25 ans qu’en 1995. Le niveau de formation est un autre atout de l’actuelle “génération perdue”. La Pologne a aujourd’hui cinq fois plus d’étudiants qu’en 1990, et le pourcentage d’actifs diplômés de l’enseignement supérieur est aujourd’hui 2,5 fois supérieur.

Les périodes de crise ont toujours été pour la Pologne un temps de restructuration profonde de son économie. Depuis 2008, la productivité de notre travail a augmenté de 20%. Le développement d’industries et de services innovants, telles que l’électronique de pointe, les recherches moléculaires ou la production de composants automobiles de haute qualité, attirent les grandes entreprises qui délocalisent leur production du Sud vers l’Est de l’Europe, et notamment la Pologne.

On pourrait dire qu’un taux de chômage élevé est en quelque sorte le prix à payer pour améliorer la compétitivité polonaise, gage d’une supériorité durable sur ses rivaux dans les années à venir. En attendant, selon les données d’Eurostat, notre productivité – plus de deux fois inférieure à celle de l’Allemagne – n’a atteint l’année dernière que 57 % de la moyenne européenne.

Le modèle allemand

L’Allemagne reste clairement un exemple de l’impact efficace des réformes du marché de travail sur l’amélioration des perspectives d’emploi des jeunes. Le chômage y est à son plus bas niveau depuis la réunification du pays : non seulement le chômage des jeunes (12 %), mais également celui de l’ensemble de la population (5,4 %), et l’on se dirige progressivement vers le plein emploi. Pourtant, il y a dix ans, avant les réformes de Gerhard Schröder, l’Allemagne était considérée comme “l’homme malade de l’Europe” en termes de marché du travail.

“Nous devrions tout d’abord nous inspirer du système de formation professionnelle allemande. Les perspectives des jeunes dépendent en partie d’eux-mêmes et de leur capacité à adapter leurs projets à la réalité du marché”, explique Katinka Barysch du Center for European Reform, basé à Londres.

De nombreux signes laissent espérer aux jeunes Polonais et Européens que le pire est derrière eux. Même si l’année 2012 s’est achevée dans le marasme économique, l’UE a évité le pire : la désintégration de la zone euro et l’effondrement de l’Union. Aussi peu croyable que cela semble aujourd’hui, dans deux ou trois ans, ce sont bien de jeunes actifs extrêmement compétents qui pourront dicter leurs conditions d’emploi aux employeurs, et non l’inverse.

Press Europ

mercredi, 16 janvier 2013

La CIA espionne toutes vos données persos… et l’Europe s’en fiche

La CIA espionne toutes vos données persos… et l’Europe s’en fiche

Ex: http://mediabenews.wordpress.com/

par Philippe VION-DURY

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Le gouvernement américain s’est octroyé depuis quelques années le droit d’espionner la vie privée des citoyens étrangers, dont les Européens, en mettant à contribution ses grandes compagnies, Facebook, Google ou Microsoft. Et les autorités européennes ferment les yeux.

C’est ce que dénonçait la version américaine de Slate le 8 janvier dernier, en s’apuyant sur le rapport [en anglais] « Combattre le cybercrime et protéger la vie privée sur le Cloud » du Centre d’études sur les conflits, liberté et sécurité, passé jusqu’alors tout à fait inaperçu.

La mise en place d’une sorte de tribunal secret, dont l’action ne se limite plus aux questions de sécurité nationale ou de terrorisme mais à « toute organisation politique étrangère », inquiète les auteurs de ce rapport remis au Parlement européen fin 2012.

Un risque pour la souveraineté européenne

Ceux-ci dénoncent le « Foreign Intelligence and Surveillance Act » (FISA), qu’ils accusent de « constituer un risque pour la souveraineté européenne sur ses données bien plus grave qu’aucune autre loi étudiée par les législateurs européens ».

La loi FISA avait été introduite au Congrès en 2008 pour légaliser rétroactivement les mises sur écoute sans mandat auxquelles s’était livrée l’administration Bush dans le cadre de la lutte contre le terrorisme.

Malgré la polémique qu’il suscite encore, l’amendement a été prolongé en décembre dernier jusqu’en 2017, après que le Sénat l’a approuvé à 73 voix contre 23, tout en rejetant les amendements visant à placer des gardes-fous afin de prévenir d’éventuels abus.

Cette législation autorise expressément les agences de renseignement américaines (NSA, CIA…) à mettre sur écoute sans autorisation judiciaire des citoyens américains communiquant avec des étrangers soupçonnés de terrorisme ou d’espionnage.

« Carte blanche » pour espionner

Caspar Bowden, ancien conseiller sur la vie privée à Microsoft Europe et coauteur du rapport, accuse les autorités américaines d’avoir créé un outil de « surveillance de masse », en s’arrogeant le droit d’espionner les données stockées sur les serveurs d’entreprises américaines.

Pour simplifier, un tribunal secret est désormais capable d’émettre un mandat, secret lui aussi, obligeant les entreprises américaines (Facebook, Microsoft, Google…) à livrer aux agences de renseignement américaines les données privées d’utilisateurs étrangers.

Cette législation se démarquerait des autres en ne se limitant pas aux questions de sécurité nationale et de terrorisme, mais en l’élargissant à toute organisation politique étrangère ; une véritable « carte blanche pour tout ce qui sert les intérêts de la politique étrangère américaine » selon Bowden.

Cela pourrait inclure également la surveillance de journalistes, activistes et hommes politiques européens impliqués dans des sujets intéressant l’administration américaine.

L’inaction des responsables européens

Les auteurs soulignent l’inertie des responsables européens, qu’il trouve « choquante ». Une inquiétude que partage Sophia in ’t Veld, vice-présidente du Comité sur les libertés civiles, justice et affaires intérieures au Parlement européen, dont les propos sont rapportés par Slate :

« Il est très clair que la Commission européenne ferme les yeux. Les gouvernements nationaux font de même, en partie parce qu’ils ne saisissent pas l’enjeu, et en partie parce qu’ils sont effrayés à l’idée d’affronter les autorités américaines. »

Le renouvellement de la loi FISA et la publication de l’étude pourraient bien forcer les autorités européennes et nationales à se saisir de la question et à agir en conséquence. C’est en tout cas ce qu’espèrent les auteurs du rapport.

Philippe Vion-Dury

Lire également : Tout voir, tout entendre : les espions en rêvaient, les Etats-Unis l’ont presque fait

jeudi, 10 janvier 2013

L’Union européenne meurt-elle de sa vassalité avec les Etats-Unis ?

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L’Union européenne meurt-elle de sa vassalité avec les Etats-Unis ?

 
Quelques évidences à rappeler
L'Union européenne s'enferme dans un système de subventions avec des règles de marchés dont les effets sont très violents. Pendant ce temps de très nombreux Etats ont recours à des fonds souverains pour sécuriser leurs entreprises (surtout pour des marchés stratégiques). 
L'Union européenne connait une crise majeure où les populations sont étranglées par l'augmentation croissante des impôts et une récession grandissante. Est-il judicieux, normal, juste que les européens payent pour le développement des entreprises et économies étrangères ? Peut-on encore justifier les attaques (et souvent destructions) dont sont victimes les entreprises européennes, du fait des subventions, par les fonds d'investissements étrangers (souverains ou non) ? L'Europe peut-elle se permettre de fragiliser encore son tissu économique intérieur en étranglant les citoyens et en abandonnant les entreprises?
À l'heure de cette crise sans précédent, on est droit de s'interroger sur les choix économiques de l'Europe. L'industrie est en chute libre, le commerce extérieur des pays européens est plus que défaillant et le marché de l'emploi périclite dangereusement. L'usage de vingt années de marché commun démontre que le système économique (monnaie unique forte, cadre règlementaire européen de la concurrence, aides d'Etats, …) de l'Union avantage clairement le plus fort, ne laissant aux Etats membres restants d'autre choix que de creuser les déficits afin de maximiser le commerce extérieur du plus performant. Le dumping fiscal et social fausse la concurrence et met en péril toute l'économie européenne.

L’autisme entretenu par le discours libéral exporté des Etats-Unis
Face à des enjeux stratégiques de redéfinition de l'économie, le reste du monde s'arme et recourt massivement à un protectionnisme étatique, parfois à peine déguisé. La sécurisation des industries nationales devient une règle, les attaques de concurrents se font de plus en plus agressives et violentes. Pourtant l'Union européenne s'accroche, comme un naufragé à un morceau de plomb, à une politique économique intérieure suicidaire : le libre-échange extrême associé à une concurrence exacerbée et dangereuse pour les entreprises européennes.
En effet l'investissement et l'obtention de subventions sont régis par une logique de solidarité (sans doute justifiée si elle est réfléchie) entre les territoires. Tout cela implique que si les entreprises de l'ouest n'investissent pas dans les régions de l'est, le concurrent (pouvant être étranger à l'Europe!) obtient les subventions européennes s'il investit dans les pays de l'est de l'Europe, pouvant alors bénéficier de dumpings fiscaux et/ou sociaux. L'investisseur étranger bénéficie alors d'un avantage majeur pour attaquer les marchés intérieurs de ses concurrents de l'Europe de l'ouest sans aucune barrière douanière. Sous couvert de solidarité entre Etats membres, les contribuables de l'ouest financent généreusement les subventions et donc les investissements d'entreprises n'ayant aucun lien avec l'Europe. La Chine peut ainsi bénéficier de subventions européennes lorsqu'elle a investi, avec son fond souverain, en Europe de l'est. Il ne faut surtout pas oublier qu'une subvention n'est autre qu'une aide financière en don réel faites à partir des fonds publics, eux-mêmes entretenus par les contribuables européens. Ce système contre-productif est clairement une pure perte financière.
Il serait temps de profiter de cette crise pour faire évoluer les règles des aides d'Etat et autres carcans afin de permettre la construction de véritables politiques industrielles communes. La création d'un fond souverain européen ne peut-elle pas enfin être envisagée comme une solution pertinente et viable ?

vendredi, 30 novembre 2012

Cyrille et Méthode censurés par la Commission Européenne!

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Aux fous! Cyrille et Méthode censurés par la Commission Européenne!


source : Robert Ménard, journaliste. Site : boulevard Voltaire

Une anecdote. Une histoire de rien du tout. Quelques lignes dans la presse. Je vous raconte : à l’occasion des 1 150 ans de l’arrivée des saints Cyrille et Méthode dans ce qui deviendra leur patrie, les autorités slovaques ont décidé de lancer une pièce commémorative de deux euros. Représentant, bien sûr, les deux apôtres des Slaves. Que nenni. La Commission européenne n’en a pas voulu et exigé le retrait de « certains détails ». Lesquels ? Vous ne devinez pas ? Pas la moindre idée ? Mais, bien sûr, les auréoles des deux saints et les croix sur leurs vêtements !

Et nos bureaucrates bruxellois – que nous allons finir par détester si ce n’est pas déjà fait – d’expliquer qu’il s’agit de « respecter le principe de neutralité religieuse ». Et d’invoquer un fumeux règlement européen qui les autorise à procéder ainsi quand un « projet de dessin est susceptible d’engendrer des réactions défavorables parmi ses citoyens ». La Banque centrale slovaque a dû s’incliner. Les pièces mises en vente sont privées de ces «  détails » qui révulsent Bruxelles et les abrutis – je pèse mes mots – qui, dans les différents États, dont le nôtre, ont voté un pareil règlement.

Allez, me direz-vous, il y a pire. On ne va pas en faire toute une affaire. Vous avez peut-être raison, mais je ne décolère pas. Je me souviens qu’avant la chute du Mur, avant l’effondrement du communisme, des fidèles slovaques ont risqué leur vie pour avoir diffusé l’enseignement de ces deux saints. Il faudrait rafraîchir la mémoire de nos ronds-de-cuir, de nos scribouillards, de nos gratte-papier qui, à Bruxelles comme à Paris, l’ont oublié ou n’en ont jamais rien su. Mais, c’est vrai qu’il ont une telle honte de ce qu’ils sont, de l’histoire qui est la nôtre, des valeurs qui ont nourri ce vieux continent ! Qu’ils s’en aillent tous, comme dirait Mélenchon.

Au fait, nos deux saints, Cyrille et Méthode, n’ont pas seulement apporté la parole de Jésus aux Slaves. Ils composèrent aussi un alphabet qui deviendra l’alphabet cyrillique. Un détail…

Robert Ménard, le 26 novembre 2012

 

mercredi, 28 novembre 2012

Goldman Sachs continue de manipuler l’économie européenne

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Goldman Sachs continue de manipuler l’économie européenne

L’annonce “surprise” que le Canadien Mark Carney va être nommé gouverneur de la Banque d’Angleterre veut dire que celui qui participa à la réunion du groupe Bilderberg cette année, complète la domination virtuelle de Goldman Sachs sur toutes les économies principales d’Europe.

La nomination de Carney est venue comme un choc pour beaucoup qui s’attendaient à ce que le gouverneur adjoint actuel Paul Tucker soit approuvé, mais ceci n’est pas du tout une surprise pour nous alors que nous avions prédit dès Avril que Carney serait désigné pour le poste.

Carney a eu eu carrière de 13 années chez Goldman Sachs et fut impliqué dans la crise financière russe de 1998 qui fut exarcerbée par Goldman Sachs conseillant la Russie tout en pariant derrière le rideau sur l’incapacité du pays à payer sa dette.

La nomination de Carney survient juste 6 mois après qu’il se rendit à la conférence du Bilderberg 2012 à Chantilly, Virginie, USA, une réunion annuelle de plus de cent personnes les plus puissantes de la planète, qui a régulièrement démontré sa capacité à “créer les rois”.

Le Guardian de Londres rapporte que Carley est “largement inconnu en dehors des cercles des régulateurs financiers et des banquiers centraux”, ce qui explique pourquoi sa nomination est venue comme une surprise pour beaucoup, incluant Malcom Barr de la JP Morgan qui lui, considérait Paul Tucker dans un fauteuil pour prendre la succession.

Le fait que Carney soit étranger est cité comme une des raisons du pourquoi sa sélection est arrivée comme un choc, mais étant canadien, il est un sujet de la reine d’Angleterre, qui a confirmée sa nomination après qu’il fut recommandé à la reine par le premier ministre David Cameron.

La présence de Carney à la réunion Bilderberg cette année l’a certainement aidé à rassembler les faveurs à son encontre parmi les élites mondialistes et aidé à sécuriser ce poste de gouverneur de la Banque d’Angleterre, de la même façon que cela a aidé d’autres personnalités à les faire monter à de plus hauts postes, comme Herman Van Rompuy qui fut nommé président de l’UE quelques jours après avoir participé à une réunion dîner du Bilderberg.

L’ascenscion de Carney au poste de gouverneur de la BA représente également la dernière pièce du puzzle de la quête de Goldman Sachs pour le contrôle virtuel de l’économie à travers le continent européen.

L’an dernier, l’ancien commissaire européen Mario Monti a été choisi pour remplacer Silvio Berlusconi, le premier ministre élu d’Italie. Monti est un conseiller international pour Goldman Sachs, le président européen de la commission trilatérale de David Rockefeller et un leader du groupe Bilderberg.

“Ceci constitue la bande de criminels qui nous a amenée ce désastre financier. Cela revient à appeler au secours des pompiers pyromanes” a commenté Alessandro Sallusti, éditeur du quotidien Il Giornale.

De la même manière, lorsque le premier ministre grec George Papandreou a osé suggérer que le peuple grec devrait avoir son mot à dire dans un referendum, il fut viré en quelques jours et remplacé par Lukas Papademos, l’ancien vice-président de la BCE, un professeur non résident d’Harvard et ancien économiste expérimenté de la réserve fédérale de Boston, Papademos géra la banque centrale grecque tandis qu’il supervisait des accords sur des dérivatifs avec Goldman Sachs, permettant à la Grèce de masquer la véritable importance de sa dette massive, menant ainsi la charge de la crise de la dette européenne.

Papademos et Monti furent installés en tant que leaders non élus pour la raison précise qu’il n’ont aucun compte à rendre au public a noté Stephen Faris du Time Magazine, une fois de plus illustrant la fondation fondamentalement dictatoriale et anti-démocratique de l’Union Européenne.

Peu de temps après, Mario Draghi, ancien vice-chairman de Goldman Sachs international, fut installé à la présidence de la Banque Centrale Européenne (BCE)

Le ministre américain des finances et du trésor était Hank Paulson au début de la crise financière en 2008, ancien CEO de Goldman Sachs. Lorsque Paulson fut remplacé par Tim Geither, le lobbyist de Goldman Sachs Mark Patterson fut placé comme chef-conseiller. Le CEO actuel de Goldman Sachs Lloyd Blankfein a visité la maison blanche 10 fois. C’est Goldman Sachs qui a dépensé le plus d’argent pour la campagne électorale d’Obama en 2008.

Zero Hedge, qui avait aussi prédit que Carney défierait les chances et sécuriserait le poste de gouverneur de la BA, note aujourd’hui que “tout ce que nous devons comprendre et nous rappeler pour savoir comment les évènements mondiaux se déroulent est cette chose très simple: GOLDMAN SACHS EST EN CHARGE. Tout le reste est complètement secondaire.”

Comme le graphique ci-dessous le montre (voir l’article original), les économies de la France, de l’Irlande, de l’Allemagne et de la Belgique sont aussi contrôlées par des individus qui ont une relation directe avec Goldman Sachs. Le banquier international géant, notoire pour sa tradition de corruption et de délits d’inititiés, possède maintenant une influence énorme sur virtuellement toute économie majeure occidentale sur la planète.

Note du traducteur: le graphique donne ces informations:

Les maîtres de la Zone Euro:

  • Allemagne: Otmar Iseling, ancien membre de la Bundes Bank, ancien conseiller de Goldman Sachs
  • Belgique: Karel Van Miert, ancien commissaire européen, ancien conseiller international de Goldman Sachs (AUJOURD'HUI DECEDE!)
  • BCE: Mario Draghi, ancien Managing Director de Goldman Sachs International
  • Irlande: Peter Sutherland, ancien ministre de la justice irlandais, directeur non-exécutif de Goldman Sachs International
  • France: Antonio Borgès, ancien chef du département Europe du FMI, ancien vice-président de Goldman Sachs International
  • Italie: Mario Monti, ex-conseiller international pour Goldman Sachs
  • Grèce: Lukas Papademos, ancien directeur de la Banque Centrale Grecque et Petros Christodoulou, chef de l’agence de gestion de la dette grecque, commença sa carrière à Goldman Sachs.

url de l’article original:

http://www.infowars.com/goldman-sachs-completes-economic-takeover-of-europe/print/

~ Traduit de l’anglais par Résistance 71 ~

Goldman Sachs festigt seine wirtschaftliche Übernahme Europas

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Goldman Sachs festigt seine wirtschaftliche Übernahme Europas

Paul Joseph Watson

Mit seiner »überraschenden« Ernennung zum neuen Gouverneur der Bank of England festigt der Kanadier Mark Carney, der 2012 am Treffen der Bilderberger teilnahm, den beherrschenden Einfluss der Investmentbank Goldman Sachs auf alle größeren europäischen Volkswirtschaften.

Diese Ernennung war für viele, die davon ausgegangen waren, der derzeitige stellvertretende Gouverneur der britischen Zentralbank, Paul Tucker, würde den Chefposten übernehmen, ein Schock. Aber bereits im April dieses Jahres wurde berichtet, dass man hinter den Kulissen dabei sei, Carney , der noch im November 2011 für weitere drei Jahre zum kanadischen Zentralbankchef ernannt worden war und zugleich Vorsitzender des so genannten Financial Stability Board der G20 ist, für diese Funktion in Position zu bringen.

Carney gehörte früher 13 Jahre zur Führungsriege bei Goldman Sachs und spielte 1998 in der russischen Finanzkrise eine wichtige Rolle. Diese Krise wurde von Goldman Sachs noch dadurch verschärft, dass das Unternehmen Russland einerseits beriet, andererseits aber an Finanzwetten beteiligt war, die darauf setzten, Russland werde seine Schulden nicht bezahlen können.

Mehr: http://info.kopp-verlag.de/hintergruende/deutschland/paul-joseph-watson/goldman-sachs-festigt-seine-wirtschaftliche-uebernahme-europas.html

mercredi, 21 novembre 2012

La France d’en-bas contre l’Europe d’en-haut

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La France d’en-bas contre l’Europe d’en-haut

par Georges FELTIN-TRACOL

Le 29 mai dernier, à une forte majorité, le corps électoral français a rejeté la ratification du Traité constitutionnel européen (T.C.E.). Trois jours plus tard, le 1er juin, les électeurs néerlandais ont fait de même, plus massivement encore. Cette double victoire du non a plongé l’eurocratie dans la consternation, l’hébétude et la rage. Malgré la nette victoire du oui survenue au Luxembourg le 10 juillet suivant, l’état comateux du T.C.E. demeure.

La vigueur du non français a surpris les observateurs. Il signifie le cinglant désaveu du peuple envers une certaine manière de faire campagne. Matraqué par une intense propagande « oui-ouiste » orchestrée par la quasi-totalité du personnel politique, reprise et démultipliée par la grande presse et les grands médias, l’électeur, d’instinct, s’est opposé à ce nouveau « bourrage de crâne ». « Ce non est bien évidemment une réaction automatique, immédiate, à l’ultimatum qu’a été dès le début ce référendum, commente Jean Baudrillard. Réaction à cette coalition de la bonne conscience, de l’Europe divine, celle qui prétend à l’universel et à l’évidence infaillible, réaction à cet impératif catégorique du oui, dont les promoteurs n’ont même pas supposé un seul instant qu’il pouvait constituer un défi – et donc un défi à relever. Ce n’est donc pas un non à l’Europe, c’est un non au oui, comme évidence indépassable » (Libération, 17 mai 2005).

Déçus, amers et vindicatifs (comme le prouve l’hallucinant et édifiant éditorial de July dans Libération du 30 mai), les tenants du oui ont beau jeu de souligner l’hétérogénéité du non. Pour la circonstance, la distinction gauche-droite a su s’éclipser au profit d’une convergence circonstancielle et momentanée de périphéries radicales, contestataires et oppositionnelles contre un centre modéré, gouvernemental et installé. D’après les enquêtes d’opinion, la majorité des électeurs « nonistes » provient de la gauche. Pour le démographe Hervé Le Bras, il ne fait aucun doute que « la carte des résultats du référendum donne un verdict clair : le non de 2005 épouse la géographie de la gauche, pas celle de l’extrême droite » (Libération, 1er juin 2005). « L’importance de la victoire du non, insistent Bruno Cautres et Bernard Denni, doit donc assez peu aux souverainistes qui, à la différence de 1992, ne se retrouvent en nombre qu’au F.N. et au  M.P.F. » (Libération, 7 juin 2005). Annie Laurent confirme cette analyse en précisant qu’« à l’aune des élections régionales de 2004, la gauche parlementaire représente 44 % du vote non, la droite parlementaire 18 % et le F.N. 28 % » (Le Figaro, 14 juillet 2005). « Pour le philosophe Philippe Reynaud, signale Nicolas Weill, “ ce qui l’a emporté, c’est avant tout une problématique sociale, antilibérale et anticapitaliste ” » (Le Monde, 4 juin 2005).

Un non pluraliste

La part de la gauche dans le succès du non est indéniable. Il faut toutefois appréhender ce non de gauche comme passéiste et rétrograde. Tout au long de la campagne, les dissidents des Verts et du P.S. (Fabius, Mélenchon, Emmanuelli, Montebourg), José Bové, le P.C.F., la L.C.R., Lutte ouvrière, l’extrême gauche et la C.G.T. ont défendu l’« exception française », les « acquis sociaux » et le droit illimité et incompressible à la « gréviculture ». Critiquant surtout la troisième partie économiciste du texte, ils ont encouragé une certaine conception de la France, sœur jumelle survivante de l’Albanie maoïste d’Enver Hodja, dernière réserve à dinosaures bourdivins, ultime « Sovietic Park » au monde. La gauche revendicative a favorisé un non de résignation, car elle est incapable de comprendre les défis du XXIe siècle, aveuglée par une grille de lecture antédiluvienne remontant à la Ire Révolution industrielle ! Ne soyons pas surpris d’y retrouver d’indécrottables utopistes, d’ineffables pacifistes et de pitoyables tiers-mondistes. Ainsi, Libération (31 mai 2005) rapporte le témoignage d’un étudiant appelé Jérôme qui a voté « non » parce qu’il n’a « pas envie de créer une seconde superpuissance qui, comme les États-Unis, pillerait les pays d’Afrique » (sic). La sottise idéologique reste d’actualité !

La deuxième composante du non rassemble la nébuleuse souverainiste, national-républicaine et nationiste, c’est-à-dire le F.N. et le M.P.F., bien évidemment, mais aussi le M.N.R., les gaullistes de Charles Pasqua et de Nicolas Dupont-Aignan, les chevènementistes, les royalistes, le Parti des travailleurs de Daniel Gluckstein (catalogué « national-trotskyste »), les chasseurs de C.P.N.T., etc. D’une argumentation plus fondée, leur non n’est pas moins présentiste et paradoxal. Ils condamnent, à juste titre, ce qu’entreprend l’Europe technocratique, c’est-à-dire l’éradication et le remplacement des identités populaires par un grand marché planétaire, tout en reproduisant cette démarche ethnocidaire dans l’Hexagone. Plus exactement, la bureaucratie bruxelloise reprend la méthode jacobine républicaine hexagonale afin d’édifier un super-État centralisé européen. Ne s’exemptant pas de contradictions, ils défendent avec acharnement la langue française, mais méprisent les langues régionales et vernaculaires ! Au nom d’une francophonie mythique, ils acceptent les migrants du Maghreb et d’Afrique noire, mais accusent le « plombier polonais » et la « coiffeuse hongroise » de « manger le pain des Français ». Dans Le Figaro du 31 juin 2005, un certain Nordine, chauffeur de taxi de son état, explique son vote négatif par un raisonnement xénophobe : « L’Europe va s’épuiser en voulant renflouer l’Est. Les Roumains et les Polonais que je vois ici ne respectent rien. » Tiens donc ! Les « jeunes » des banlieues qui brûlent les voitures viendraient-ils d’Europe de l’Est ? L’information sensationnelle vaut son pesant de cacahuètes. Le discours souverainiste atteint ici ses limites. Son fixisme autour d’une France idéalisée par les « quarante rois qui… » (on connaît la chanson) et les « hussards noirs de la République », l’empêche de comprendre les grandes mutations de notre temps. Il est intéressant de remarquer que les territoires dont les élus sont des ténors de l’État-nation (la Vendée pour Philippe de Villiers, les Yvelines pour Christine Boutin, Maison-Laffitte pour Jacques Myard, les Hauts-de-Seine pour Charles Pasqua) ont porté le oui en tête.

 

La dernière catégorie du non ressort de la marginalité. Elle n’en est pas moins fondamentale, car porteuse d’une ambition européiste s’appuyant sur l’identité, la souveraineté et la puissance. C’est un non d’avenir qui entend bouleverser l’actuel paysage politique et politiser l’enjeu européen. C’est déjà en bonne voie puisque « les référendums sur l’Europe réussissent là où échouent les élections au Parlement européen : créer un espace démocratique pour organiser le débat autour de la construction européenne » (B. Cautres et B. Denni, art. cit.). Ce non d’avenir dépasse de loin le non droitier et le non gauchiste. En effet, « si l’on retient qu’il s’agissait d’abord d’un non identitaire s’opposant à un élargissement sans limites, à une fédéralisation d’éléments clés des politiques nationales, et à une réduction des protections sociales nationales sans contreparties apparentes pour les salariés exposés, la réponse ne peut résider dans un replâtrage de l’Union. C’est une refondation de la construction européenne qui s’impose » (Christian Saint-Étienne, Le Figaro, 18 et 19 juin 2005). Et l’auteur d’ajouter, avec pertinence, que « le non social est un non identitaire au sens où les salariés ont l’impression qu’on veut casser les protections nationales pour mieux les laminer dans une Union qui, du fait d’un élargissement sans limites, a changé de nature ». « Est-ce à dire que la question sociale primerait désormais sur la question nationale ? “ L’une et l’autre sont liées ”, fait observer l’historien de l’Europe Robert Frank, de l’université Paris-I. Le chômage que la France connaît depuis des décennies représente un ferment “ destructeur de l’identité nationale ”. Aujourd’hui, pense M. Frank, “ l’identité nationale est multiple et superpose plusieurs attachements, régionaux, nationaux mais également européens ”. Plutôt que de malaise, il préfère parler d’une “ crise de l’identité européenne des Français ” » (Nicolas Weill, art. cit.).

Préparer la Grande Europe identitaire et populiste

Dépassant la stupide et stérile querelle gauche-droite, le non d’avenir identitaire et populiste, car populaire, sait, comme semble le convenir Emmanuel Todd, que « les milieux populaires, ouvriers et employés, représentent 50 % du corps électoral, et que cette proportion explique les instabilités du système politique français. Les ravages du libre-échange, dont souffrent les milieux ouvriers, ont encore radicalisé leur révolte. […] La vraie nouveauté est l’entrée en fureur d’une parties des classes moyennes » (Emmanuel Todd, Le Nouvel Observateur, 9 – 15 juin 2005). Attirons toutefois l’attention sur le discret mépris à l’égard des couches populaires. E. Todd semble leur reprocher l’instabilité politique comme s’il croyait que la politique ne fût que la version sophistiquée de La Petite Maison dans la prairie et non l’acceptation du conflit. C’est indéniable : « le non, de “ gauche ” ou d’extrême droite, confirme le géographe Jacques Lévy, contient une incontestable composante nationaliste, à la fois sous la forme d’un protectionnisme commercial, relancé à propos des services par la directive Bolkenstein, et d’un refus de la libre circulation » (Libération, 1er juin 2005). Il en résulte « une recomposition du champ politique. Au clivage gauche-droite s’est substituée une ligne de partage qui oppose schématiquement le “ peuple ” aux “ élites ”, les radicaux aux modérés, les électeurs anti-système à ceux qui se reconnaissent dans les partis de gouvernement. En ce sens, le 29 mai n’est pas un nouveau 10 mai, mais bien plutôt un super-21 avril. Or cette recomposition s’est opérée autour du rapport à l’État et à la nation. Plus précisément, la question sociale a rejoint la question nationale » (Claude Weill, Le Nouvel Observateur, 9 – 15 juin 2005).

Plus généralement, la victoire du non démontre la faillite des oligarchies. Le 29 mai restera comme une magnifique claque donné à un Établissement plus attiré par les lubies mondialistes libérales-libertaires de la « Nouvelle Classe » que par les inquiétudes légitimes du peuple. Il est cependant navrant d’employer le beau mot d’« élite » pour désigner les couches dirigeantes maffieuses qui monopolisent la politique, l’économie, les syndicats, la culture, les médias, et qui asservissent la France. Si elles forment une élite, c’est très sûrement dans la gabegie des ressources, le détournement des finances et le conformisme politique ! Elles sont les élites de la nullité; une parodie d’élite. Le seul terme adéquat qui leur convient est celui d’« oligarchie ». Dans Sinistrose. Pour une renaissance du politique (Flammarion, 2002), Vincent Cespedes observe que la France vit en non-démocratie : en-dehors de l’exercice d’un droit de vote formel et illusoire car sans grand effet, le citoyen est réduit à la figuration politique. Le fort taux de participation sur un sujet a-priori jugé compliqué par les oligarques prouve a contrario l’intérêt du peuple pour la Res Publica.

Emmanuel Todd croit que « les gens du oui ont choisi leur défaite. Les gens du oui, compétents, les élites, se sont refusé, ou ont été incapables, de définir une Europe effectivement protectrice » (art. cit.). La dénonciation reste bien modeste. Traduirait-elle en fait sa lassitude et son agacement de Todd de faire partie des perdants, une fois encore après Maastricht en 1992 ? « La classe politique française toute entière porte dans cet échec une énorme responsabilité, écrit pour sa part Alain Caillé. Vis-à-vis de l’Europe, elle n’a su que cumuler arrogance, ignorance et incompétence. Arrogance aussi longtemps qu’elle a cru pouvoir donner le la en Europe. Ignorance de la réalité des autres pays qui rejoignaient l’Europe. De la réalité tout court. Incompétence dans le rapport aux nouvelles institutions européennes. Les députés français y brillent plus souvent par leur absence que par leur force de proposition. Force est de constater qu’aucun des grands partis français n’a su développer un discours sur l’Europe, totalement absente de la dernière présidentielle ou des dernières législatives » (Libération, 24 mai 2005). « Cela signifie, poursuit Jean Baudrillard, la faillite du principe même de la représentation, dans la mesure où les institutions représentatives ne fonctionnent plus du tout dans le sens “ démocratique ”, c’est-à-dire du peuple et des citoyens vers le pouvoir, mais exactement à l’inverse, du pouvoir vers le bas, par le piège d’une consultation et d’un jeu de question / réponse circulaire, où la question ne fait que se répondre oui à elle-même » (art. cit.). Le scrutin du 29 mai 2005 indique l’état de sécession du peuple. Son exaspération peut, à plus ou moins long terme, virer en révolution, avec le risque d’une reprise en main possible par les gauchistes et leurs alliés islamistes.

Néanmoins, « le non identitaire ouest-européen pourrait servir de socle à un renouveau de la construction européenne [car] s’interdire d’analyser les non français et hollandais pour ce qu’ils sont, c’est s’interdire de penser la refondation de l’Europe. L’avenir de l’Europe ne peut se construire que sur la vérité et la lucidité » (Christian Saint-Étienne, art. cit.). La construction européenne voulue par ses fondateurs dans une direction intégratrice fonctionnaliste paie maintenant au prix fort son absence de politisation. « Car, insiste Alain Caillé, le défaut majeur auquel a succombé la construction européenne est connu : avoir préféré l’élargissement économique à sa consolidation politique » (art. cit.).

L’urgente et souhaitable politisation ne doit pas toucher que les instances européennes, elle doit aussi concerner la France et ses terroirs. L’alternative est désormais simple : ou les oligarchies sourdes, autistes et aveugles poursuivent leur travail de dissolution des identités ethniques, culturelles et populaires dans le grand chaudron de la mondialisation avec les inévitables réactions de résistance et de rejet, ou les peuples retrouvent leur citoyenneté,  recouvrent, enfin, le pouvoir de décider de leur destin.

Georges Feltin-Tracol http://www.europemaxima.com

jeudi, 15 novembre 2012

La Turquie menace l’Union Européenne et l’ENI italienne

Andrea PERRONE:

La Turquie menace l’Union Européenne et l’ENI italienne: intolérable!

 

Ankara veut entrer dans l’Union Européenne mais sa politique dite “néo-ottomane” cherche à empêcher les pétroliers italiens de l’ENI d’exploiter des gisements au large de Chypre!

 

chypre-gaz-400-de-haut_0.jpgLa Turquie réclame que l’Europe fasse un pas décisif et prenne des décisions immédiates pour faire accéder définitivement la Turquie à l’UE mais, simultanément, elle menace une importante société pétrolière européenne, l’ENI italienne, parce que celle-ci s’apprête à signer des accords avec Chypre pour exploiter les gisements de gaz au large de l’île. Pour le gouvernement d’Ankara, les mesures visant à favoriser le plus rapidement possible l’entrée de la Turquie dans l’UE devraient être prises au terme de l’actuelle présidence cypriote. De plus, la Turquie compte entrer dans le club des Vingt-Sept d’ici 2023. Ce langage fort a été tenu par le premier ministre turc Recep Tayyip Erdogan, flanqué de son ministre des affaires européennes, Egemen Bagis, dans les colonnes du quotidien turc “Hurriyet”: “A la fin de la présidence cypriote, nous attendons une avancée décisive de la part de l’UE. L’UE a actuellement une attitude contraire à ses propres intérêts. Elle doit se ‘repenser’ et accélérer le processus d’adhésion de la Turquie”, a conclu le ministre. “Nous avons dit qu’avant 2023, la Turquie devrait être un membre à part entière de l’UE”, a ajouté Bagis dans ses réponses au journaliste de “Hurriyet”, mais nous n’avons pas l’intention d’attendre jusqu’à la fin de l’année 2023”.

 

La République de Chypre va bientôt céder la présidence de l’UE à l’Irlande: ce sera en décembre de cette année. Le 31 octobre, Recep Tayyip Erdogan a lancé un avertissement aux technocrates de Bruxelles, en affirmant que si l’UE ne garantit pas l’adhésion d’Ankara pour avant 2023, la Turquie retirera sa candidature. Erdogan fixe ainsi pour la première fois une date-butoir pour l’adhésion définitive de son pays à l’UE. “Je ne crois pas qu’ils se tiendront sur la corde raide aussi longtemps”, a précisé Erdogan lors de sa visite récente à Berlin où il a répondu aux questions des journalistes allemands, “mais si nous retirons notre candidature, l’UE y perdra et, en bout de course, l’UE perdra la Turquie”.

 

Pour notre part, et nonobstant la croissance continue du PIB turc, qui frise aujourd’hui les 9%, nous ne pensons pas, à l’instar des derniers sondages, que les Européens et les Turcs souffriront tant que cela si Ankara s’éloigne de l’UE. Il nous semble plus intéressant d’observer les turbulences que crée le gouvernement turc lorsqu’il déclare se tenir prêt à réviser les accords actuels permettant à l’ENI de travailler sur territoire turc si l’entreprise pétrolière italienne forge un accord avec Chypre pour exploiter les gisements gaziers au large de l’île. Le ministre turc des affaires étrangères, Ahmet Davutoglu, créateur de la nouvelle politique “néo-ottomane” vient d’annoncer dans un communiqué: “Comme nous l’avons déjà envisagé à maintes reprises, ..., les entreprises qui coopèrent avec l’administration grecque-cyptriote seront exclues de tous les futurs projets turcs dans le domaine énergétique”. Le contentieux qui oppose l’ENI à la Turquie, suite à l’accord prévu entre l’entreprise italienne et Nicosie, remonte déjà au 30 octobre 2012, immédiatement après que le gouvernement cypriote ait annoncé la concession de quatre licences d’exploitation de gaz, tout en précisant qu’il en négociera les termes de partenariat avec les Italiens de l’ENI, les Sud-Coréens de Kogas, les Français de Total et les Russes de Novatek. Aujourd’hui, le ministre des affaires étrangères turc a invité les entreprises et les gouvernements de ces quatre pays à “agir selon le bon sens”, les incitant à ne pas oeuvrer dans les eaux cypriotes et à retirer leurs offres.

 

Le ministre turc de l’énergie, Taner Yildiz, sûr de lui, a déclaré hier selon le quotidien “Hurriyet” qu’il était prêt à revoir tous les investissements de la société pétrolière italienne en Turquie, si celle-ci scelle un accord avec Chypre pour exploiter les gisements de gaz des eaux cyptriotes. “Nous soumettrons à révision leurs investissements en Turquie si l’ENI est impliquée”. Déjà au cours de ces derniers mois, Ankara avait protesté à plusieurs reprises auprès du gouvernement cypriote, qualifiant d’“illégales” toutes éventuelles activités d’exploitation au large de l’île et envoyant dans les eaux cyptriotes des militaires, des sous-marins et des navires de guerre. De son côté, Chypre est déforcée car elle est divisée en deux depuis l’été 1974, lorsque les troupes turques ont envahi l’île et occupé sa partie septentrionale, en réponse à un coup perpétré par des éléments philhellènes à Nicosie, qui voulaient réaliser l’ENOSIS, l’union de Chypre à la mère-patrie grecque. Depuis lors, l’île ne s’est plus jamais recomposée et les deux entités, nées des événements de 1974, ont continué à vivre séparément, hermétisées totalement l’une par rapport à l’autre mais en paix, en dépit d’une colonisation forcée favorisée en totale illégalité par la Turquie, qui a incité une fraction de ses concitoyens à prendre possession de la partie nord de Chypre.

 

Andrea PERRONE.

( a.perrone@rinascita.eu ; article paru dans “Rinascita”, Rome, le 6 novembre 2012; http://rinascita.eu/ ).

dimanche, 01 juillet 2012

Pour l’hyperclasse mondiale et l’ONU, l’UE doit « saper l’homogénéité » de ses Etats membres !

Pour l’hyperclasse mondiale et l’ONU, l’UE doit « saper l’homogénéité » de ses Etats membres !

Comme l’indique un article de la BBC, au moins les choses sont claires pour Peter Sutherland, représentant spécial de l’ONU pour les affaires de migration en tant que dirigeant du « Forum Mondial sur la Migration et le Développement » : L’UE devrait « faire de son mieux pour saper l’homogénéité » de ses Etats membres !

Interrogé par le sous-comité aux affaire internes de l’UE de la Chambre des Lords en Angleterre, qui mène actuellement une enquête sur les migrations globales, il a pris pour modèle « les Etats-Unis, l’Australie ou la Nouvelle-Zélande » qui « sont des sociétés d’immigrés » s’accommodant donc « plus facilement des gens d’autres horizons que nous le faisons nous-mêmes »,  qui « entretenons un sens d’homogénéité et de différence par rapport aux autres. Et c’est exactement ce que l’Union Européenne, selon moi, devrait s’efforcer de saper ».

Avant d’ajouter devant le comité de la Chambre des Lords que les migrations étaient une « dynamique cruciale pour la croissance économique » dans certaines nations de l’UE, « malgré le fait que cela soit difficile à expliquer aux citoyens de ces Etats ». La population vieillissante et en déclin dans des pays comme l’Allemagne ou le Sud de l’UE était « l’argument-clef, je rechigne à utiliser ce mot car des gens l’ont attaqué, pour le développement d’Etats multiculturels », a-t-il ajouté. « Il est impossible de considérer que le degré d’homogénéité que l’autre argument implique puisse survivre car les Etats doivent devenir plus ouverts, au niveau des gens qui les peuplent. Tout comme le Royaume-Uni l’a démontré ».

Homme aux multiples casquettes, Peter Sutherland est aussi président non-exécutif de Goldman Sachs International, recteur à la London School of Economics, ancien président du géant du pétrole BP et membre important du Groupe Bilderberg. Ainsi que le patron européen du Transatlantic Policy Network, un institut euro-américain ultra-puissant dont le but est de faire émerger un bloc euro-atlantique unifié dans tous les domaines d’ici 2015. Et de 2001 à 2010, il a présidé la section Europe de la Commission Trilatérale.

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